Sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle

Riapertura del sentiero di staffetta al fronte del Forame della Prima Guerra Mondiale

Dopo un lungo periodo di forzato stop, eccoci tornati con una nuova avventura nella zona di Cortina d’Ampezzo. Assieme all’inseparabile Diego e al caparbio Riccardo, già compagno di escursione alla forcella Rauhkofel, siamo in partenza per un’avventura unica alla riscoperta di una via percorsa più di 100 anni fa durante la Grande Guerra. Una traccia ai piedi del gruppo del Cristallo, lato Ovest, e più precisamente nella zona del Forame, luogo di sanguinosi e cruenti combattimenti tra l’esercito italiano e quello austroungarico. Il sentiero che andremo a riscoprire e riaprire era utilizzato durante la Prima Guerra Mondiale da un gruppo di volontari cadorini e dal reggimento Alpini del Battaglione Fenestrelle.
Raggiungiamo Ospitale, sulla Strada Statale 51, poco prima di arrivare a Carbonin. Parcheggiamo l’auto e osserviamo già da qui la costa montuosa ricoperta interamente da boscaglia e pini mughi che ci attende. Davanti a noi, infatti, abbiamo l’inizio del Forame, ancora dolcemente coperto dalla vegetazione, che nasconde i ripidi impluvi e canaloni rocciosi. Qualche settimana fa Diego aveva già percorso parte di questo sentiero da Sud verso Nord e si è dovuto fermare per un salto roccioso in quel momento non gestibile. Oggi invece cerchiamo di effettuare il giro inverso cioè da Nord verso Sud per riuscire a trovare una via più comoda e superare il punto chiave che ha fatto rinunciare Diego nella prima avventura.
Scendiamo dalla Strada Statale e ci dirigiamo verso l’acquedotto di San Biagio (S. Blasius nelle cartine d’epoca della Prima Guerra Mondiale), intersechiamo brevemente il sentiero CAI 203 e ci addentriamo nel bosco scegliendo una labile traccia. Dapprima sembra perdersi, poi la ritroviamo che accompagna solchi nel terreno simili a piccoli trinceramenti. Guadagnamo quota, qualche vecchio taglio di barancio ci indica che siamo sul percorso giusto. Puntiamo verso il Rio Felizòn (Ru Felizòn), barriera naturale che divideva l’esercito italiano dalle trincee austriache appostate poco distanti. Troviamo una via a quota 1590-1600 metri che coincide con il sentiero riportato nelle cartine dell’epoca e che costeggia di fatto il vallone ghiaioso creato dal Felizòn. Con sorpresa notiamo anche delle rocce con qualche bollo rosso, molto probabilmente questa piccola parte di vecchio sentiero era utilizzata qualche decennio fa per raggiungere le sorgenti del Felizòn e la vicina cascata. Percepiamo di essere sul bordo del canalone ghiaioso, ancora troppo alti per scendervi all’interno. Continuiamo per la traccia e a quota di 1660 metri circa sbuchiamo su un valloncello ghiaioso di un immissario del Felizòn senza particolari problemi di discesa. Il greto è completamente asciutto. Il sentiero qui è stato spazzato via da piene e frane ed è molto difficile individuare la continuazione dello stesso che si dirige verso Punta Ovest del Forame. L’obiettivo di oggi, però, è quello di risalire questo canalone e rientrare poco più in alto tornando in direzione del Col dei Stonbe percorrendo così l’intero itinerario a mezza costa utilizzato per la staffetta al fronte.
Saliamo quindi nel greto, dapprima molto comodo per la progressione, poi via via più tecnico per la presenza di rocce umide. Questi impluvi ghiaiosi erano dei passaggi obbligati per i volontari e gli alpini italiani. Di conseguenza, erano costantemente presi di mira dal fuoco di artiglieria nemico. Non a caso dopo qualche centinaio di metri in risalita, proprio sul margine destro del valloncello, notiamo un colpo di mortaio e, tutt’intorno degli shrapnel a ricordarci quanto imprevedibili e distruttivi potessero essere questi proiettili per i soldati. Nel libro “Itinerari segreti della Grande Guerra nelle Dolomiti – Vol. 3”, Giorgio Tosato ricorda un episodio del Volontario Edgardo Rossaro e del suo compagno Da Rin, proprio in occasione di un passaggio notturno in uno di questi impluvi. Edgardo volle dare dei consigli al suo amico prima dell’attraversamento: «Stai attento, ora in questa valletta, perché fanno un continuo tiro di sbarramento. Segui la linea dei sassi che si vede più chiara, e parti di corsa subito dopo arrivata una granata. Andiamo uno per volta per offrire minor bersaglio ...». Ma il buon Rossaro, accecato dal bagliore della granata esplosa subito dopo il passaggio di Da Rin, sbagliò percorso e si trovò incastrato con il pesante zaino in una fenditura rocciosa, senza riuscire a muoversi. Arrivò la granata successiva: «Spingevo con la forza della disperazione, puntando le mani e le ginocchia, quando intesi un sibilo terribile, poi uno schianto che fece tremare il sasso: mi trovai come avvolto da una vampata e sentii un terribile urto a tutta la persona ...». Il compagno lo recuperò in tutta fretta. Rossaro non aveva subito ferite, ma aveva perso l'udito a causa del forte spostamento d'aria. Ripresero la via di salita e si riposarono. In seguito Da Rin disse a Rossaro che nel frattempo aveva recuperato l'uso dell'orecchio destro: «Manco mal che te senti ancora. Ti pol impizar un lumin a la Madona. Stanote quando te go visto in mezo ai sbari, gò pensà che dovevo tirarte fora co la vangheta».
Ci rendiamo conto in breve che siamo saliti troppo, andando oltre i 1800 metri. La distesa di baranci è scomparsa lasciando solo la nuda roccia. Torniamo quindi sui nostri passi e controlliamo con perizia qualsiasi indizio che potrebbe inoltrarsi verso Sud rientrando nei pini mughi. A quota 1720 intravediamo una traccia insicura nel primo tratto sassoso, ma ben evidente alla comparsa dei mughi. Risaliamo e voltandoci vediamo uno splendido panorama sul Forame e sullo sfondo la cascata del Felizòn con il fragore udibile fino a qui. Alla nostra sinistra svetta la Croda Rossa d’Ampezzo con il suo colore acceso.
Da una prima breve ricognizione evidenziamo dei tagli molto vecchi sui rami dei mughi e terreno battuto. Qualche ramo si è rimpossessato della via rendendola più intricata, fitta e selvaggia, ma siamo sicuri: questo è il sentiero dei Volontari e Alpini del battaglione Fenestrelle al cospetto del Col dei Stonbe! Nel libro “Guerra in Ampezzo e Cadore 1915-1917” Antonio Berti descriveva così i protagonisti di questa linea di staffetta dedita a portare le truppe a ridosso del fronte per guadagnare le postazioni del Forame e di conseguenza Carbonin: A metà agosto 1916 il comando italiano decide di rinnovare il tentativo allo scopo di potersi aprire la strada verso Carbonin. Il compito appare estremamente arduo: è necessario manovrare su un terreno straordinariamente difficile, attaccare posizioni che l'avversario ha accuratamente scelto per il loro naturale carattere di inaccessibilità ed ha avuto modo, durante i mesi trascorsi dai primi attacchi, di organizzare a scopo difensivo. L'impresa richiede soldati pratici di montagna, capaci di manovrare in quel terreno così ricco di insidie naturali e create dall'uomo. Al comando italiano qualcuno si rammenta dei «Volontari Alpini del Cadore», una compagnia di autentici volontari, reclutati tra i montanari delle valli cadorine, originariamente destinati al servizio territoriale, ma, fin dal luglio 1915, schieratisi in prima linea e già provati da aspri combattimenti sul Peralba, a Passo Sesis, in Val Visdende. Li comanda il capitano Celso Coletti, purissimo figlio della terra cadorina.
Comincia la nostra azione di ri-apertura del vecchio sentiero con la costruzione di ometti e la potatura di qualche ramo minore per permettere un timido miglior passaggio. Assieme ad alcuni tagli completamente cementificati, indice di potatura remota, notiamo anche alcuni tagli più recenti (forse di qualche decina di anni fa). Ci addentriamo così nella folta vegetazione fino a raggiungere un rado boschetto dove bisogna prestare attenzione a non perdere la traccia. Il segnavia è quasi sempre chiaro, ma necessita comunque di esperienza e orientamento per non perdersi. I mughi ora diminuiscono fino a sparire dando spazio agli abeti. Qui bisogna prestare attenzione ad un grosso masso poggiato su un tronco dal quale deviare decisamente in salita sulla costa erbosa: siamo a quota 1700 metri circa. Ora si guadagna circa 100 metri quota, raggiungiamo un isolato tronco sul quale è presente un intreccio di filo spinato. Si sale sulla sinistra, sempre su evidente tratturo, e giungiamo al primo impluvio da superare. Siamo all’apice di questo canalone, lasciamo un ometto per segnalare la via.
Si continua nuovamente nei mughi in costante lieve salita. Continuiamo così fino a quota 1800 metri, costeggiando di fatto le balze rocciose che culminano nel Col dei Stonbe. Il secondo canalone che superiamo è molto più largo. Sempre comodo al passaggio. La risalita costeggia una roccia dove troviamo i resti di una scala in legno. Proprio qui notiamo una serie di resti che segnalano la presenza di un accampamento durante la Grande Guerra: suole e tomaie di scarpe, lattine del rancio e resti di piatti in ceramica. Procediamo e lasciamo su un evidente masso qualche scatoletta a formare degli ometti per i prossimi visitatori.
Arriviamo al canalone principale, quello che aveva fatto desistere Diego nella prima avventura. Con nostra sorpresa, ben salda ad un sicuro tronco, vediamo una vecchia corda che avrà visto decine di inverni in quella posizione. Grazie a questa, siamo riusciti a scendere nell’impluvio in modo sicuro su pendio comunque non verticale e con diversi comodi terrazzamenti rocciosi. Una volta scesi abbiamo effettuato una ricerca della via migliore per la risalita. La parte opposta del canalone, infatti, risulta pressoché verticale con ghiaia cementificata che non permette di raggiungere il bordo con facilità. Dopo qualche ricerca è stata individuata una breve via di risalita (comunque ardua), qualche decina di metri più in basso rispetto alla corda fissa utilizzata per la discesa. Qui Diego e Riccardo hanno preparato e lasciato una serie di corde e fettucce utili ai prossimi esploratori.
La risalita mi ha provato notevolmente, mi dedico una breve pausa per recuperare fiato e lucidità prima di affrontare il resto dell’avventura che non dovrebbe avere più incognite. Dopo un’altra piccola districata tra i mughi arriviamo nuovamente nella boscaglia dove sono presenti moltissimi reperti di guerra. Notiamo anche un camino di stufa che indica la giusta via per superare il canalone. È più in basso rispetto alla nostra risalita. Riccardo lo percorre confermandola come via migliore per scendere nell’impluvio arrivando dalla direzione Sud-Nord. Infatti, dal percorso effettuato da noi oggi in senso inverso, è difficile da trovare. Servirà una nuova perlustrazione per indicare adeguatamente con ometti anche questa variante.
Ci regaliamo una pausa ristoratrice e osserviamo quanti reperti sono lì davanti a noi: resti di stufe, vanghe, gavette e un pezzo su tutti che assomiglia ad un ancoraggio di mortaio. Nessuno ad oggi è riuscito a decifrarne l’utilizzo (vedi foto in galleria). Continuiamo nel bosco, il sentiero ora perde quota costantemente anche se in modo lieve. Qui la traccia è sempre ben visibile e si sviluppa a mezza costa. A quota 1780, proprio a metà itinerario di ritorno, troviamo una postazione di sosta in cui è presente una caverna artificiale sicuramente usata come magazzino. Attigui alla caverna notiamo una serie di trinceramenti e scavi nel terreno con blocchi di cemento armato usati forse a rinforzo o come base per una piccola teleferica nascosta tra la vegetazione. Anche qui diversi resti confermano il baraccamento militare con la presenza di picchetti di ferro (alcuni ancora con il bastone in legno all’interno) usati per le tende militari qui insediate.
Procediamo nella discesa e mi avvolge un’emozione: questo sentiero era costantemente attraversato da gruppi di soldati e semplici volontari con qualsiasi tempo atmosferico, con la neve, il caldo, schiacciati dal peso dei loro voluminosi zaini. Un sentiero che ha visto eroi correre verso il fronte, verso il luogo da conquistare per tornare liberi. Un sentiero che ha conosciuto più vite di quelle che sono riuscite a tornare a casa a raccontare questi luoghi. Termino questa riflessione e ci imbattiamo in un’altra trincea scavata nel terreno in una zona che guarda tendenzialmente verso il Castello di Podestagno. Superiamo l’ultimo valloncello sassoso e, su traccia labile ma sempre visibile, percorriamo l’ultima parte di bosco. Ci ricongiungiamo così a quota 1765 metri con il sentiero CAI che porta al Col dei Stombe e successivamente alla ferrata Dibona, proprio in corrispondenza di un tornante. Scendiamo quindi per la via segnata fino a immetterci nella strada sterrata marcata CAI 203 e in breve torniamo ad Ospitale.
Termina così un’avventura di esplorazione, di riscoperta storica. Una via che emoziona dal primo all’ultimo passo. Una ri-apertura di un sentiero della Prima Guerra Mondiale dove semplici e temerari Volontari cadorini, assieme agli Alpini del Battaglione Fenestrelle hanno tentato con successo le offensive nel 1916 al fronte austroungarico ai piedi del Forame, nel gruppo del Cristallo. Sono orgoglioso di aver sovrapposto il mio scarpone sulle stesse orme dei soldati impresse più di cento anni or sono.
Un’avventura che merita di essere rivissuta anche grazie alla dettagliata relazione sul blog di Diego “WINDCHILI”: clicca qui per leggere la relazione.

Dopo un lungo periodo di forzato stop, eccoci tornati con una nuova avventura nella zona di Cortina d’Ampezzo. Assieme all’inseparabile Diego e al caparbio Riccardo, già compagno di escursione alla forcella Rauhkofel, siamo in partenza per un’avventura unica alla riscoperta di una via percorsa più di 100 anni fa durante la Grande Guerra. Una traccia ai piedi del gruppo del Cristallo, lato Ovest, e più precisamente nella zona del Forame, luogo di sanguinosi e cruenti combattimenti tra l’esercito italiano e quello austroungarico. Il sentiero che andremo a riscoprire e riaprire era utilizzato durante la Prima Guerra Mondiale da un gruppo di volontari cadorini e dal reggimento Alpini del Battaglione Fenestrelle.
Raggiungiamo Ospitale, sulla Strada Statale 51, poco prima di arrivare a Carbonin. Parcheggiamo l’auto e osserviamo già da qui la costa montuosa ricoperta interamente da boscaglia e pini mughi che ci attende. Davanti a noi, infatti, abbiamo l’inizio del Forame, ancora dolcemente coperto dalla vegetazione, che nasconde i ripidi impluvi e canaloni rocciosi. Qualche settimana fa Diego aveva già percorso parte di questo sentiero da Sud verso Nord e si è dovuto fermare per un salto roccioso in quel momento non gestibile. Oggi invece cerchiamo di effettuare il giro inverso cioè da Nord verso Sud per riuscire a trovare una via più comoda e superare il punto chiave che ha fatto rinunciare Diego nella prima avventura.
Scendiamo dalla Strada Statale e ci dirigiamo verso l’acquedotto di San Biagio (S. Blasius nelle cartine d’epoca della Prima Guerra Mondiale), intersechiamo brevemente il sentiero CAI 203 e ci addentriamo nel bosco scegliendo una labile traccia. Dapprima sembra perdersi, poi la ritroviamo che accompagna solchi nel terreno simili a piccoli trinceramenti. Guadagnamo quota, qualche vecchio taglio di barancio ci indica che siamo sul percorso giusto. Puntiamo verso il Rio Felizòn (Ru Felizòn), barriera naturale che divideva l’esercito italiano dalle trincee austriache appostate poco distanti. Troviamo una via a quota 1590-1600 metri che coincide con il sentiero riportato nelle cartine dell’epoca e che costeggia di fatto il vallone ghiaioso creato dal Felizòn. Con sorpresa notiamo anche delle rocce con qualche bollo rosso, molto probabilmente questa piccola parte di vecchio sentiero era utilizzata qualche decennio fa per raggiungere le sorgenti del Felizòn e la vicina cascata. Percepiamo di essere sul bordo del canalone ghiaioso, ancora troppo alti per scendervi all’interno. Continuiamo per la traccia e a quota di 1660 metri circa sbuchiamo su un valloncello ghiaioso di un immissario del Felizòn senza particolari problemi di discesa. Il greto è completamente asciutto. Il sentiero qui è stato spazzato via da piene e frane ed è molto difficile individuare la continuazione dello stesso che si dirige verso Punta Ovest del Forame. L’obiettivo di oggi, però, è quello di risalire questo canalone e rientrare poco più in alto tornando in direzione del Col dei Stonbe percorrendo così l’intero itinerario a mezza costa utilizzato per la staffetta al fronte.
Saliamo quindi nel greto, dapprima molto comodo per la progressione, poi via via più tecnico per la presenza di rocce umide. Questi impluvi ghiaiosi erano dei passaggi obbligati per i volontari e gli alpini italiani. Di conseguenza, erano costantemente presi di mira dal fuoco di artiglieria nemico. Non a caso dopo qualche centinaio di metri in risalita, proprio sul margine destro del valloncello, notiamo un colpo di mortaio e, tutt’intorno degli shrapnel a ricordarci quanto imprevedibili e distruttivi potessero essere questi proiettili per i soldati. Nel libro “Itinerari segreti della Grande Guerra nelle Dolomiti – Vol. 3”, Giorgio Tosato ricorda un episodio del Volontario Edgardo Rossaro e del suo compagno Da Rin, proprio in occasione di un passaggio notturno in uno di questi impluvi. Edgardo volle dare dei consigli al suo amico prima dell’attraversamento: «Stai attento, ora in questa valletta, perché fanno un continuo tiro di sbarramento. Segui la linea dei sassi che si vede più chiara, e parti di corsa subito dopo arrivata una granata. Andiamo uno per volta per offrire minor bersaglio ...». Ma il buon Rossaro, accecato dal bagliore della granata esplosa subito dopo il passaggio di Da Rin, sbagliò percorso e si trovò incastrato con il pesante zaino in una fenditura rocciosa, senza riuscire a muoversi. Arrivò la granata successiva: «Spingevo con la forza della disperazione, puntando le mani e le ginocchia, quando intesi un sibilo terribile, poi uno schianto che fece tremare il sasso: mi trovai come avvolto da una vampata e sentii un terribile urto a tutta la persona ...». Il compagno lo recuperò in tutta fretta. Rossaro non aveva subito ferite, ma aveva perso l'udito a causa del forte spostamento d'aria. Ripresero la via di salita e si riposarono. In seguito Da Rin disse a Rossaro che nel frattempo aveva recuperato l'uso dell'orecchio destro: «Manco mal che te senti ancora. Ti pol impizar un lumin a la Madona. Stanote quando te go visto in mezo ai sbari, gò pensà che dovevo tirarte fora co la vangheta».
Ci rendiamo conto in breve che siamo saliti troppo, andando oltre i 1800 metri. La distesa di baranci è scomparsa lasciando solo la nuda roccia. Torniamo quindi sui nostri passi e controlliamo con perizia qualsiasi indizio che potrebbe inoltrarsi verso Sud rientrando nei pini mughi. A quota 1720 intravediamo una traccia insicura nel primo tratto sassoso, ma ben evidente alla comparsa dei mughi. Risaliamo e voltandoci vediamo uno splendido panorama sul Forame e sullo sfondo la cascata del Felizòn con il fragore udibile fino a qui. Alla nostra sinistra svetta la Croda Rossa d’Ampezzo con il suo colore acceso.
Da una prima breve ricognizione evidenziamo dei tagli molto vecchi sui rami dei mughi e terreno battuto. Qualche ramo si è rimpossessato della via rendendola più intricata, fitta e selvaggia, ma siamo sicuri: questo è il sentiero dei Volontari e Alpini del battaglione Fenestrelle al cospetto del Col dei Stonbe! Nel libro “Guerra in Ampezzo e Cadore 1915-1917” Antonio Berti descriveva così i protagonisti di questa linea di staffetta dedita a portare le truppe a ridosso del fronte per guadagnare le postazioni del Forame e di conseguenza Carbonin: A metà agosto 1916 il comando italiano decide di rinnovare il tentativo allo scopo di potersi aprire la strada verso Carbonin. Il compito appare estremamente arduo: è necessario manovrare su un terreno straordinariamente difficile, attaccare posizioni che l'avversario ha accuratamente scelto per il loro naturale carattere di inaccessibilità ed ha avuto modo, durante i mesi trascorsi dai primi attacchi, di organizzare a scopo difensivo. L'impresa richiede soldati pratici di montagna, capaci di manovrare in quel terreno così ricco di insidie naturali e create dall'uomo. Al comando italiano qualcuno si rammenta dei «Volontari Alpini del Cadore», una compagnia di autentici volontari, reclutati tra i montanari delle valli cadorine, originariamente destinati al servizio territoriale, ma, fin dal luglio 1915, schieratisi in prima linea e già provati da aspri combattimenti sul Peralba, a Passo Sesis, in Val Visdende. Li comanda il capitano Celso Coletti, purissimo figlio della terra cadorina.



Data

30-09-2023

Distanza

7.31 KM

Tipo escursione

Escursione

Dislivello

483 mt

  • Montagna

    Forame, Gruppo del Cristallo

  • Indirizzo

    Cortina d’Ampezzo, Veneto, Italy

  • Altitudine

    1805.00 m

  • Rifugi

  • Informazioni

Comincia la nostra azione di ri-apertura del vecchio sentiero con la costruzione di ometti e la potatura di qualche ramo minore per permettere un timido miglior passaggio. Assieme ad alcuni tagli completamente cementificati, indice di potatura remota, notiamo anche alcuni tagli più recenti (forse di qualche decina di anni fa). Ci addentriamo così nella folta vegetazione fino a raggiungere un rado boschetto dove bisogna prestare attenzione a non perdere la traccia. Il segnavia è quasi sempre chiaro, ma necessita comunque di esperienza e orientamento per non perdersi. I mughi ora diminuiscono fino a sparire dando spazio agli abeti. Qui bisogna prestare attenzione ad un grosso masso poggiato su un tronco dal quale deviare decisamente in salita sulla costa erbosa: siamo a quota 1700 metri circa. Ora si guadagna circa 100 metri quota, raggiungiamo un isolato tronco sul quale è presente un intreccio di filo spinato. Si sale sulla sinistra, sempre su evidente tratturo, e giungiamo al primo impluvio da superare. Siamo all’apice di questo canalone, lasciamo un ometto per segnalare la via.
Si continua nuovamente nei mughi in costante lieve salita. Continuiamo così fino a quota 1800 metri, costeggiando di fatto le balze rocciose che culminano nel Col dei Stonbe. Il secondo canalone che superiamo è molto più largo. Sempre comodo al passaggio. La risalita costeggia una roccia dove troviamo i resti di una scala in legno. Proprio qui notiamo una serie di resti che segnalano la presenza di un accampamento durante la Grande Guerra: suole e tomaie di scarpe, lattine del rancio e resti di piatti in ceramica. Procediamo e lasciamo su un evidente masso qualche scatoletta a formare degli ometti per i prossimi visitatori.
Arriviamo al canalone principale, quello che aveva fatto desistere Diego nella prima avventura. Con nostra sorpresa, ben salda ad un sicuro tronco, vediamo una vecchia corda che avrà visto decine di inverni in quella posizione. Grazie a questa, siamo riusciti a scendere nell’impluvio in modo sicuro su pendio comunque non verticale e con diversi comodi terrazzamenti rocciosi. Una volta scesi abbiamo effettuato una ricerca della via migliore per la risalita. La parte opposta del canalone, infatti, risulta pressoché verticale con ghiaia cementificata che non permette di raggiungere il bordo con facilità. Dopo qualche ricerca è stata individuata una breve via di risalita (comunque ardua), qualche decina di metri più in basso rispetto alla corda fissa utilizzata per la discesa. Qui Diego e Riccardo hanno preparato e lasciato una serie di corde e fettucce utili ai prossimi esploratori.
La risalita mi ha provato notevolmente, mi dedico una breve pausa per recuperare fiato e lucidità prima di affrontare il resto dell’avventura che non dovrebbe avere più incognite. Dopo un’altra piccola districata tra i mughi arriviamo nuovamente nella boscaglia dove sono presenti moltissimi reperti di guerra. Notiamo anche un camino di stufa che indica la giusta via per superare il canalone. È più in basso rispetto alla nostra risalita. Riccardo lo percorre confermandola come via migliore per scendere nell’impluvio arrivando dalla direzione Sud-Nord. Infatti, dal percorso effettuato da noi oggi in senso inverso, è difficile da trovare. Servirà una nuova perlustrazione per indicare adeguatamente con ometti anche questa variante.
Ci regaliamo una pausa ristoratrice e osserviamo quanti reperti sono lì davanti a noi: resti di stufe, vanghe, gavette e un pezzo su tutti che assomiglia ad un ancoraggio di mortaio. Nessuno ad oggi è riuscito a decifrarne l’utilizzo (vedi foto in galleria). Continuiamo nel bosco, il sentiero ora perde quota costantemente anche se in modo lieve. Qui la traccia è sempre ben visibile e si sviluppa a mezza costa. A quota 1780, proprio a metà itinerario di ritorno, troviamo una postazione di sosta in cui è presente una caverna artificiale sicuramente usata come magazzino. Attigui alla caverna notiamo una serie di trinceramenti e scavi nel terreno con blocchi di cemento armato usati forse a rinforzo o come base per una piccola teleferica nascosta tra la vegetazione. Anche qui diversi resti confermano il baraccamento militare con la presenza di picchetti di ferro (alcuni ancora con il bastone in legno all’interno) usati per le tende militari qui insediate.
Procediamo nella discesa e mi avvolge un’emozione: questo sentiero era costantemente attraversato da gruppi di soldati e semplici volontari con qualsiasi tempo atmosferico, con la neve, il caldo, schiacciati dal peso dei loro voluminosi zaini. Un sentiero che ha visto eroi correre verso il fronte, verso il luogo da conquistare per tornare liberi. Un sentiero che ha conosciuto più vite di quelle che sono riuscite a tornare a casa a raccontare questi luoghi. Termino questa riflessione e ci imbattiamo in un’altra trincea scavata nel terreno in una zona che guarda tendenzialmente verso il Castello di Podestagno. Superiamo l’ultimo valloncello sassoso e, su traccia labile ma sempre visibile, percorriamo l’ultima parte di bosco. Ci ricongiungiamo così a quota 1765 metri con il sentiero CAI che porta al Col dei Stombe e successivamente alla ferrata Dibona, proprio in corrispondenza di un tornante. Scendiamo quindi per la via segnata fino a immetterci nella strada sterrata marcata CAI 203 e in breve torniamo ad Ospitale.
Termina così un’avventura di esplorazione, di riscoperta storica. Una via che emoziona dal primo all’ultimo passo. Una ri-apertura di un sentiero della Prima Guerra Mondiale dove semplici e temerari Volontari cadorini, assieme agli Alpini del Battaglione Fenestrelle hanno tentato con successo le offensive nel 1916 al fronte austroungarico ai piedi del Forame, nel gruppo del Cristallo. Sono orgoglioso di aver sovrapposto il mio scarpone sulle stesse orme dei soldati impresse più di cento anni or sono.
Un’avventura che merita di essere rivissuta anche grazie alla dettagliata relazione sul blog di Diego “WINDCHILI”: clicca qui per leggere la relazione.




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