Forte San Martino e Miniere di Valle Impèrina

Un'avventura incredibile nei dintorni di Agordo tra storia, montagna e leggenda!

Estate di San Martino, quale posto migliore se non ripercorrere i luoghi leggendari legati a questo Santo.
Io e l’amico di tante avventure Leonardo, siamo nell’agordino, più precisamente a La Muda. Parcheggiamo l’auto all’altezza del segnale di divieto di transito e percorriamo la vecchia strada carrozzabile prima del tunnel. Siamo sulla ex Statale, ancora asfaltata, immersi nell’ombra umida di una mattina di metà novembre. Ai lati, a sinistra, il monte Pizon e, alla nostra destra, le balze finali del monte Zelo. A dividere il tutto l’impetuoso torrente Cordevole di un verde acqua ipnotico.
In breve raggiungiamo la prima tappa, l’ex casa cantoniera al cospetto del Pont de i Castei. Prima sorpresa: davanti a noi una grossa frana ci sbarra la strada con imponenti crode che si riversano nel Cordevole. La casa cantoniera si intravede alle spalle di questo muro sassoso. Superiamo lo sbarramento, ancora instabile, e ci dirigiamo verso il ponte, dal quale dovremmo avere la visuale ottimale sulla strada da percorrere. Per questa avventura, infatti, mi sono documentato sul libro del 2005 di Teddy Soppelsa intitolato “Escursioni nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi”, itinerario numero 7, in cui viene descritta la zona: “ […] indirizzando lo sguardo verso ovest sopra la casa cantoniera, è visibile un curioso monolite chiamato la Panocia (850 m), che spicca al centro di un’antica frana, ora colononizzata da pino mugo e da boschetti di betulla, precipitato dalle pendici del Col Pizòn (1482 m) probabilmente nel corso del movimento franoso che, come si accennava, avrebbe sbarrato il corso del torrente Cordévole creando un vasto bacino lacuale. […] Poche decine di metri sulla sinistra della casa cantoniera s'imbocca la bella mulattiera militare (chiusa al transito motorizzato) che sale dolcemente lungo le scoscese propaggini settentrionali del Piz de Mezodì (o Pizón).”. Analizzando il luogo non notiamo nessun monolite a forma di “Pannocchia” e, ancora più preoccupante, non vediamo alcuna mulattiera militare… Approfondendo successivamente abbiamo riscontrato che sia il monolite che la mulattiera, sono state spazzate via da questa poderosa frana avvenuta il 17 febbraio 2022 tra le 4 e le 5 di mattina. Un po’ scoraggiati da questa scoperta, consci del fatto che l’avventura sarebbe finita di lì a breve, abbiamo osservato il Ponte de i Castei con la sua splendida vista sul torrente e rievocato un’antica leggenda di questo posto, la Tagliata di San Martino, legata proprio al Santo.
Il Soppelsa la descrive egregiamente: “Secondo una leggenda in questo luogo, noto anche con l'appellativo la “taiada de San Martin”, il Santo Martino compì un miracolo. Si racconta infatti che, per salvare un bimbo caduto dalla barca nelle acque del lago che allora copriva la conca agordina, il Santo tagliò con la sua spada lo sbarramento a valle, provocando la fuoriuscita delle acque e salvando così il bambino, che aveva nome Agordo. La leggenda di San Martino, come talvolta accade nella mitologia popolare, trova qui un solido fondamento storico. Diversi studiosi sono infatti concordi nell'affermare l'esistenza di un lago, formatosi nel Neolitico fra i 5780-6000 anni fa, che si estendeva da Listolade (a sud di Cencenighe Agordino) fino alla gola della stréta dei Castèi, per una lunghezza di circa 8,5 km. Fra le ipotesi sull'origine del lago, quella più verosimile sembra essere una frana di sbarramento precipitata dalle pendici dei monti che si trovano sulla destra e sinistra orografica del Cordévole nei pressi del Pónt de i Castèi.”.
Dopo aver quasi, rivissuto questa leggenda osservando il profondo taglio in cui scorre ora il Cordevole, visitiamo i resti del forte basso che si stagliano esili sulla destra orografica del torrente a pochi passi dalla casa cantoniera. Qui, muri a brandelli pericolanti indicano la presenza di un vecchio bastione denominato Forte di San Martino o, anche, Tagliata del Sasso di S.Martino. La costruzione, iniziata il 1883 e terminata nel 1887, rappresentava un punto strategico già all’epoca per difesa da possibili incursioni degli austriaci. Nella Prima Guerra Mondiale, durante la ritirata italiana, venne fatto saltare nel 1917 per evitare che gli austro-ungarici lo potessero usare in caso di avanzata. Nella Seconda Guerra Mondiale fu in parte restaurato (presumibilmente la parte alta, che vedremo tra poco) dai tedeschi come difesa da una possibile incursione da Sud degli americani. Fortunatamente la struttura non è mai stata coinvolta in alcun conflitto bellico.
Un po’ abbattuti, stiamo per rimetterci sui nostri passi e quando sto per pensare di tornare alla macchina, provo a percorrere un tratto erboso molto denso che dal fortino volge verso il torrente. Scendo un paio di metri verso l’orrido e noto con sorpresa due bolli di un rosso acceso dipinti su un albero davanti a me: non tutto è perduto. Richiamo Leonardo e procediamo nell’ignoto. Inizialmente questa traccia risulta avvolta da erba alta, alberi schiantati, ma passo dopo passo, incontriamo delle fascette biancorosse legate a qualche ramo penzolante. Altri segni su grossi tronchi non lasciano alcun dubbio: sebbene sia impervia questa è una nuova via dopo la rovinosa frana che ha cancellato la vecchia mulattiera! Procediamo sicuri su questa balza erbosa che guarda l’orrido del Cordevole sotto di noi. Ci spostiamo verso Ovest dove adesso la traccia si inerpica decisa nel bosco. Scivoliamo su terreno viscido e accidentato, i tronchi schiantati ci aiutano nella progressione. Il sentiero è veramente tappezzato di segni rossi. In breve arriviamo su una radura con erba che ci arriva ai fianchi. Una strada ben tenuta e agevole sulla nostra sinistra e, davanti a noi, il Forte (alto) di S.Martino in tutta la sua bellezza.
Lo storico Ottone Brentari lo identifica come “Corpo di Guardia” e lo descrive in modo impeccabile nel suo libro “Guida Storico-Alpina di Belluno-Feltre Primiero-Agordo-Zoldo” del 1887: “ […] cominciato nel 1883, finito nel 1887 Il grandioso muraglione di sostegno della strada venne eretto nel 1885. - Dal forte, salendo per un sentieruccio a sinistra, in 5 min. si giunge al “Corpo di Guardia”, piccolo fortino che chiude la stretta gola fra il Sasso ed il monte che s'innalza sulla destra della Valle Serrade.
Notiamo subito i recenti rinforzi alle finestre che, molto probabilmente, sono stati effettuati dai tedeschi nel ‘45. Indossiamo la frontale, estremamente necessaria, ed entriamo ad esplorare il forte che trasuda storia in ogni suo mattone. Lo percorriamo per l’intera lunghezza dove, al termine, notiamo una piccola galleria e si perde nel buio pesto. Siamo qui per esplorare e quindi, via verso l’ignoto, nell’oscurità trafitta solo dal bagliore della mia frontale. Il tunnel è veramente lungo e tortuoso, in leggera discesa. Comincio a palesare l’idea di tornare indietro, quando sento uno spruzzo d’aria fresca arrivare di fronte a me. Ecco poco dopo sulla sinistra la via d’uscita! Sbuchiamo così qualche decina di metri nel retro del forte verso la Val Carbonere. Una bellissima scoperta che ci ha galvanizzati. Rientriamo nel forte e per via diretta sotto ad un porticato caratteristico ritorniamo nella parte frontale.
Decidiamo di percorrere il sentiero segnato che avrebbe dovuto condurci direttamente al forte per scoprire dove la frana ha interrotto il suo tracciato. Anche qui troviamo un breve tunnel che ci fa sbucare sulla mulattiera poco più avanti. La traccia diventa via via più ampia e comoda. Arriviamo al bivio con il sentiero CAI 874 e procediamo in leggera discesa in direzione Sud. Arriviamo così all’interruzione del sentiero divorato dalla frana della “Panocia” del Pizon. Notiamo una labile traccia sull’estremo bordo della frana che conduce al tratto di mulattiera dove siamo in questo momento. Resta il fatto che la variante descritta in precedenza è la via più comoda e sicura per raggiungere il forte di San Martino. Torniamo sui nostri passi e al bivio scegliamo la via verso Est in direzione del Pianaz. Alla prima curva verso destra si nota un maestoso bassorilievo nella roccia che dovrebbe rappresentare uno stemma di una brigata, molto probabilmente il “7° Alpini”, visto il numero impresso nella parte alta della figura. Procediamo in costante salita fino ad arrivare alla serie di tre gallerie che forano questa dorsale del Pizòn. I tunnel risultano di costruzione relativamente recente, successivi alla Grande Guerra. Prima, infatti, esisteva una vecchia strada militare creata nel 1915 che seguiva il fianco della montagna più a valle. Questa è ancora percorribile, si può notare all’uscita della prima galleria e l’inizio del percorso è individuabile all’uscita della terza galleria sulla destra. Il primo dei tunnel risulta il più lungo e necessita di una torcia. Al suo interno diverse fenditure longitudinali permettono di diversificare la progressione lineare.
All’uscita dell’ultima galleria ci troviamo su un grazioso ponticello in legno dal quale possiamo ammirare una cascata meravigliosa che crea un catino d’acqua di un color smeraldo. Dal lato opposto, lo stesso ruscello che arriva dalla Val Carbonere, compie una seconda cascata in direzione del Cordevole. Un colpo d’occhio che merita una pausa per goderne appieno tutte le particolarità! Come riportato dal Soppelsa, il toponimo Carbonère ricorda il periodo in cui questi monti vennero quasi del tutto disboscati per ottenere dalla legna il carbone vegetale indispensabile per i processi di lavorazione e fusione del rame nel vicino complesso minerario della val Impèrina.
Immediatamente dopo il ponte è presente un bivio: la via in discesa porta alla Valle Impèrina, l’altra in salita viene indicata per la Forcella dell’Om e il Bus de le Neole. Quest’ultimo luogo sarà sicuramente un obiettivo della prossima stagione primaverile/estiva. Seguiamo questa traccia in salita con un susseguirsi di tornanti che ci fanno guadagnare velocemente dislivello. Durante la progressione non possiamo che ammirare il colore cangiante dei faggi giallo-arancio, dei larici in lontananza e delle betulle anch’esse in stile autunnale. Raggiungiamo quota 1050 metri dove ci accoglie un pianoro denominato per l’appunto Pianàz. La vista è eccezionale: si può ammirare tutta la conca agordina, sulla sinistra svetta l’Agnèr, seguono le Pale di San Lucano, il monte Pezza, la Palazza Alta, il Mont’alt di Pelsa innevato, il Framont fino ad arrivare al Moiazza. Un panorama, seppur contenuto, che regala comunque grandi emozioni!
Facciamo dietrofront tra alberi schiantati che interrompono l’accesso finale al Pianaz, e ritorniamo sul sentiero CAI 874 percorrendo a ritroso i numerosi tornati. Al bivio, trovato poco dopo l’uscita dalla terza galleria, prendiamo la via di discesa che fa parte del sentiero tematico “La Via degli Ospizi”. Un percorso di circa 20 km che dalla Certosa di Vedana, al cospetto del monte Peròn, arriva alle miniere della Valle Impèrina attraverso un antico tracciato di collegamento tra la Valle del Piave e l’Agordino, lungo il quale si incontrano alcuni ospizi di fondazione medievale.
Scendiamo su tratto ripido e in breve raggiungiamo il bordo inferiore della montagna a bordo del Cordevole che ci accompagna con il suo fragore. Superiamo anche un caratteristico rivolo d’acqua che crea sbuffi e cascatelle molto graziose. Arriviamo così ad un bivio, che rincontreremo più tardi , e procediamo in direzione Nord-Ovest verso le miniere. Percorriamo una serie di ponticelli in legno apparentemente instabili e poco affidabili. Siamo nel punto in cui più di cento anni fa c’era il Ponte del Cristo (Pònt del Cristo), del quale rimane solo un vecchio basamento in ferro visibile sul letto del torrente Cordevole. Interessante Ottone Brentari nel 1887 in una sezione in cui descrive lo stesso percorso verso le miniere: “Al Ponte del Cristo (costruito in ferro nel 1886) si ripassa sulla destra del Cordevole”. Mentre Teddy Soppelsa nel 2005: “[…] edificato nel 1886, i cui resti si scorgono ancora sul greto del Cordévole. Il ponte venne fatto saltare, nel 1917, dai guastatori della "Brigata Alpi".”.
Ultimo tratto di sentiero a mezza costa ed arriviamo al villaggio minerario di Valle Impèrina! Un luogo dove ogni mattone è pregno di storia. Una vecchia centrale idroeltettrica ci accoglie in questa esplorazione con un museo a cielo aperto composto di vecchie turbine e motori idraulici di fattura tedesca e italiana dei primi del ‘900. Seguiamo il sentiero ben curato e notiamo vecchie scuderie, ex ricoveri per i minatori, le fucine, fino ad arrivare all’attuale Ostello e Ristorante Valle Impèrina, rimesso a nuovo per gli escursionisti.
Riporto il principio dell’accurata relazione che Ottone Brentari fa nel suo libro. Mi riservo di condividere solo l’inizio per non annoiare, ma sono disponibile a chi ne avesse il desiderio, di condividere l’intera storia delle miniere presente nel libro del 1887: “Da Agordo per Pontalto (v. p. 250 in circa ½ ora si scende alle Fucine delle Miniere di Agordo (v. p. 257); visita che nessuno ometterà di fare se à anche poche ore disponibili. La scoperta e principio della miniera non sono conosciute, e ciù perchè un incendio tremendo distrusse nel 1635 la massima parte di Agordo con tutti gli archivi. Notisi però che nel celebre documento del 1347, con cui l'imperatore Carlo IV investe Jacopo Avoscano del capitanato di Agordo, non si fa il menomo cenno delle miniere, mentre si nominano pure tante altre cose: prova indiretta, mi pare, che allora le miniere non esistevano. Esse devono adunque essere state scoperte e lavorate verso la fine del sec. XIV o principio del XV: chè il Catullo (Delle Miniere delle Alpi Venete) riporta che nello statuto bellunese del 1420 si fa cenno di questa miniera: e Marin Sanudo nel suo Itinerario (1483) ne parla con queste parole: « Da poi si trova le Carbonare, et la fusina dove si colla rami, che era di Zuam Piero da la Torre da Treviso; et mia uno è poi le buse, le qual le vidi, ed era cussì intitolate: San Michel, Santa Barbara, San Zorzi, Santa Trinita; et vi andai per entro, si va passa 56; ed vidi uno maestro Sboicer, todesco, con una barba longa. Qui dentro ste buse è sempre aque, et homeni cava, dentro con lume. Questo monte, dove è sta vena chiamata Agort, è alto mia 10. » Dalla relazione poi mandata al doge dal podestà Francesco Soranzo si impara che la miniera nel 1529 occupava 300 uomini; ed un documento del 1559 racconta di una inondazione avvenuta nella Finin pretro pot i propriapi Persate dal Palonia filoni argentiferi. In una scrittura del 1568 si parla di un'altra inondazione che recò grandi guasti nel sotterraneo e fece crollare le volte di alcuni stolli (= Gallerie, dal tedesco Stollen), e di continui litigi fra gli investiti. Un proclama delli 28 Dicembre 1568 ordina che tutto l'argento della miniera debba passare alla zecca di Venezia per esservi convertito in argento di “marco”. [...]”.
Interessante anche un trafiletto in cui viene descritto il profitto di questo luogo a fine ‘800: “[…] La miniera di Agordo si trova ancora in grado di fornire per molti anni all'industria italiana un'annua produzione di circa 200,000 chilog. di rame, 30,000 di zolfo, e 2,000,000 di vetriolo verde o solfato di ferro.
Ora si è pure iniziata la vendita della pirite povera in rame ai fabbricatori di acido solforico; e se questo smercio prende piede, come pare non vi sia dubbio, si potranno alienare 8 o 10 milioni di chil. di pirite all'anno.
Il rame rosetta venne venduto in questi ultimi anni a
L. 1.60 il chil. ed il rame malleabile in piastre e lingotti a
L. 1.80; lo zolfo a cent. 13, ed il vetriolo a cent. 5 il chil.
Nella miniera si chiamano gallerie o stolli le contrade sotterranee orizzontali o quasi. Le gallerie sboccano in altre gallerie, procedono, si diramano, finiscono. Alcune, tagliate nella viva roccia, si sostengono da se, altre sono sostenute da grosse travi ed armature. Non in tutte si può camminare diritti. In alcune l'aria è calda, affannosa, in altre fresca. In fondo ad ogni galleria lavorano due o tre uomini, rischiarando la roccia con lumicino ad olio. [...]

Incredibile da quanto tempo queste zone siano state utilizzate a scopi minerari! Passate di mano dai popoli tedeschi, ai Lombardi, alla Repubblica di Venezia, fino ai giorni nostri, dove l’attività mineraria dapprima riconvertita alla produzione di acido solforico, smise ogni produzione nel 1962. Per oltre trent’anni questi luoghi furono lasciati nel degrado più assoluto fino alla nuova valorizzazione che godiamo ai giorni nostri.
Dopo esserci riempiti gli occhi di tanta storia, torniamo sui nostri passi e ripercorriamo lo stesso sentiero dell’andata, fino al bivio descritto in precedenza. Qui procediamo in direzione Sud-Est verso il Pian Castello (“Pian dei Nof”), una radura di erba incolta dove sbuca una casera diroccata. Anche questo luogo, meno d’impatto, nasconde una sorpresa: “[…] passato su una tavola il torrentello, continuare per la mulattiera che traversa il Piano della Polenta. Sotto di questo, e tosto a N. del sasso, si trovano in grande quantità gli Edelweis. È questa una cosa rarissima e notevolissima; perchè questi gentili fiori alpini, che di regola non si trovano che oltre i 2000 m. di altezza sul mare, qui prosperano in un luogo che è presso a poco a m. 520 sul mare!”.
Le stelle alpine! In questo pianoro che Brentari chiama “Piano della Polenta”, erano presenti (o lo sono ancora in stagione) le stelle alpine, ad una quota veramente impossibile.
Seguiamo la traccia che si perde nell’erba alta. Chiari ometti in pietra ci permettono comunque una facile progressione. Entriamo nuovamente nella Val Carbonere. Davanti a noi il Sasso di San Martino, un monolite levigato ai lati con un cespuglio di alberi che gli fa da copricapo. Il ruscello che scende dalla valle e si immette sul Cordevole crea dei cadini smeraldi che ci accompagnano fino ad un ponticello. Qui passiamo sulla destra orografica del ruscello e ci troviamo in un canyon molto caratteristico. Rocce con vene rossastre ci ricordano che abbiamo appena lasciato le miniere di rame. Saliamo su una traccia ben visibile e in breve eccoci nuovamente al forte di San Martino. Manca un’esplorazione: la cima del Sasso!
Ci viene in aiuto nuovamente Ottone Brentari: “[…] si giunge al Corpo di Guardia, piccolo fortino che chiude la stretta gola fra il Sasso ed il monte che s'innalza sulla destra della Valle Serrade. Di qui in altri 5 min., per il sentiero che gira prima il lato O. e quindi a N. del dosso, si giunge alla vetta del Sasso di S. Martino, grossa rupe arrotondata che chiude la valle. Si vedono di lassù verso N. O. i piani di Noach e buona parte della strada verso Agordo, l'Agnèr e Pale di S. Lucano, e verso S. E. i monti verso Belluno, fra i quali la Gusella di Vescova. Esistono ancora i ruderi della cappelletta di S. Martino.”.
Sembra impossibile, ma seguendo alla lettera queste indicazioni abbiamo trovato il sentieretto, ancora percorribile, quasi agevole, tranne per qualche albero caduto. Saliamo, siamo vicini e... ecco la cima! Ci lascia un po’ con l’amaro in bocca poiché la sommità è praticamente un’unica catasta di alberi schiantati. Cerchiamo i resti della chiesetta ma evidentemente sono stati fagocitati dalla vegetazione. Quando stiamo per perdere le speranze, ecco che un paio di rocce accatastate in modo lineare e ordinato ci fanno sussultare: sì, potrebbe proprio essere una parte di muro della vecchia chiesetta del ‘400 che qui si stagliava solitaria!
Siamo soddisfatti della riscoperta, torniamo al forte contenti di questa avventura. Non ci resta che scendere ma, il cartello “Gallerie” che notiamo all’imbocco del sentiero di discesa ci lascia perplessi: dove sono queste altre gallerie? Abbiamo praticamente esplorato tutto qui attorno e non le abbiamo viste. Seguiamo su questa, dapprima esile e poi ampissima, traccia e notiamo un’altra galleria inedita. Effettuiamo quest’ultima avventura in compagnia della frontale e scopriamo un dedalo di varianti che portano verso l’alto: torniamo in cima al Sasso di San Martino? Le battiamo palmo a palmo e sulla direttrice più ripida vediamo un foro del tunnel che sembra non ancora terminato. Usciamo infatti a fatica dalla galleria e sbuchiamo praticamente sulla sommità del Sasso, circondati da altri alberi schiantati. Ci rituffiamo nella galleria non proprio agevole in questo punto ed usciamo da un’altra variante più in basso. Ritroviamo il sentiero esterno e lo percorriamo a ritroso fino a ricongiungerci nuovamente al forte e alla via di discesa. Tornati alla casa cantoniera, in breve torniamo alla macchina ricordandoci di voltarci e di ammirare in lontananza l’Agnèr che si sta tingendo dei colori del tramonto.
Termina così questa avventura veramente sorprendente che ci ha regalato aneddoti e singolarità ad ogni passo. Il panorama è stato protagonista come in tutte le escursioni, ma qui oggi c’è stato molto di più. Un insieme di tappe che ci hanno lasciato senza parole tra miti, storia e montagne dai colori autunnali. Un’escursione non eccessivamente lunga e faticosa che ci ha regalato emozioni davvero suggestive. Adatta comunque ad escursionisti esperti per la difficoltà di orientamento in alcuni punti (soprattutto quelli più esplorativi), un’alternativa alle più blasonate vie dell’agordino.

Estate di San Martino, quale posto migliore se non ripercorrere i luoghi leggendari legati a questo Santo.
Io e l’amico di tante avventure Leonardo, siamo nell’agordino, più precisamente a La Muda. Parcheggiamo l’auto all’altezza del segnale di divieto di transito e percorriamo la vecchia strada carrozzabile prima del tunnel. Siamo sulla ex Statale, ancora asfaltata, immersi nell’ombra umida di una mattina di metà novembre. Ai lati, a sinistra, il monte Pizon e, alla nostra destra, le balze finali del monte Zelo. A dividere il tutto l’impetuoso torrente Cordevole di un verde acqua ipnotico.
In breve raggiungiamo la prima tappa, l’ex casa cantoniera al cospetto del Pont de i Castei. Prima sorpresa: davanti a noi una grossa frana ci sbarra la strada con imponenti crode che si riversano nel Cordevole. La casa cantoniera si intravede alle spalle di questo muro sassoso. Superiamo lo sbarramento, ancora instabile, e ci dirigiamo verso il ponte, dal quale dovremmo avere la visuale ottimale sulla strada da percorrere. Per questa avventura, infatti, mi sono documentato sul libro del 2005 di Teddy Soppelsa intitolato “Escursioni nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi”, itinerario numero 7, in cui viene descritta la zona: “ […] indirizzando lo sguardo verso ovest sopra la casa cantoniera, è visibile un curioso monolite chiamato la Panocia (850 m), che spicca al centro di un’antica frana, ora colononizzata da pino mugo e da boschetti di betulla, precipitato dalle pendici del Col Pizòn (1482 m) probabilmente nel corso del movimento franoso che, come si accennava, avrebbe sbarrato il corso del torrente Cordévole creando un vasto bacino lacuale. […] Poche decine di metri sulla sinistra della casa cantoniera s'imbocca la bella mulattiera militare (chiusa al transito motorizzato) che sale dolcemente lungo le scoscese propaggini settentrionali del Piz de Mezodì (o Pizón).”. Analizzando il luogo non notiamo nessun monolite a forma di “Pannocchia” e, ancora più preoccupante, non vediamo alcuna mulattiera militare… Approfondendo successivamente abbiamo riscontrato che sia il monolite che la mulattiera, sono state spazzate via da questa poderosa frana avvenuta il 17 febbraio 2022 tra le 4 e le 5 di mattina. Un po’ scoraggiati da questa scoperta, consci del fatto che l’avventura sarebbe finita di lì a breve, abbiamo osservato il Ponte de i Castei con la sua splendida vista sul torrente e rievocato un’antica leggenda di questo posto, la Tagliata di San Martino, legata proprio al Santo.
Il Soppelsa la descrive egregiamente: “Secondo una leggenda in questo luogo, noto anche con l'appellativo la “taiada de San Martin”, il Santo Martino compì un miracolo. Si racconta infatti che, per salvare un bimbo caduto dalla barca nelle acque del lago che allora copriva la conca agordina, il Santo tagliò con la sua spada lo sbarramento a valle, provocando la fuoriuscita delle acque e salvando così il bambino, che aveva nome Agordo. La leggenda di San Martino, come talvolta accade nella mitologia popolare, trova qui un solido fondamento storico. Diversi studiosi sono infatti concordi nell'affermare l'esistenza di un lago, formatosi nel Neolitico fra i 5780-6000 anni fa, che si estendeva da Listolade (a sud di Cencenighe Agordino) fino alla gola della stréta dei Castèi, per una lunghezza di circa 8,5 km. Fra le ipotesi sull'origine del lago, quella più verosimile sembra essere una frana di sbarramento precipitata dalle pendici dei monti che si trovano sulla destra e sinistra orografica del Cordévole nei pressi del Pónt de i Castèi.”.
Dopo aver quasi, rivissuto questa leggenda osservando il profondo taglio in cui scorre ora il Cordevole, visitiamo i resti del forte basso che si stagliano esili sulla destra orografica del torrente a pochi passi dalla casa cantoniera. Qui, muri a brandelli pericolanti indicano la presenza di un vecchio bastione denominato Forte di San Martino o, anche, Tagliata del Sasso di S.Martino. La costruzione, iniziata il 1883 e terminata nel 1887, rappresentava un punto strategico già all’epoca per difesa da possibili incursioni degli austriaci. Nella Prima Guerra Mondiale, durante la ritirata italiana, venne fatto saltare nel 1917 per evitare che gli austro-ungarici lo potessero usare in caso di avanzata. Nella Seconda Guerra Mondiale fu in parte restaurato (presumibilmente la parte alta, che vedremo tra poco) dai tedeschi come difesa da una possibile incursione da Sud degli americani. Fortunatamente la struttura non è mai stata coinvolta in alcun conflitto bellico.
Un po’ abbattuti, stiamo per rimetterci sui nostri passi e quando sto per pensare di tornare alla macchina, provo a percorrere un tratto erboso molto denso che dal fortino volge verso il torrente. Scendo un paio di metri verso l’orrido e noto con sorpresa due bolli di un rosso acceso dipinti su un albero davanti a me: non tutto è perduto. Richiamo Leonardo e procediamo nell’ignoto. Inizialmente questa traccia risulta avvolta da erba alta, alberi schiantati, ma passo dopo passo, incontriamo delle fascette biancorosse legate a qualche ramo penzolante. Altri segni su grossi tronchi non lasciano alcun dubbio: sebbene sia impervia questa è una nuova via dopo la rovinosa frana che ha cancellato la vecchia mulattiera! Procediamo sicuri su questa balza erbosa che guarda l’orrido del Cordevole sotto di noi. Ci spostiamo verso Ovest dove adesso la traccia si inerpica decisa nel bosco. Scivoliamo su terreno viscido e accidentato, i tronchi schiantati ci aiutano nella progressione. Il sentiero è veramente tappezzato di segni rossi. In breve arriviamo su una radura con erba che ci arriva ai fianchi. Una strada ben tenuta e agevole sulla nostra sinistra e, davanti a noi, il Forte (alto) di S.Martino in tutta la sua bellezza.
Lo storico Ottone Brentari lo identifica come “Corpo di Guardia” e lo descrive in modo impeccabile nel suo libro “Guida Storico-Alpina di Belluno-Feltre Primiero-Agordo-Zoldo” del 1887: “ […] cominciato nel 1883, finito nel 1887 Il grandioso muraglione di sostegno della strada venne eretto nel 1885. - Dal forte, salendo per un sentieruccio a sinistra, in 5 min. si giunge al “Corpo di Guardia”, piccolo fortino che chiude la stretta gola fra il Sasso ed il monte che s'innalza sulla destra della Valle Serrade.
Notiamo subito i recenti rinforzi alle finestre che, molto probabilmente, sono stati effettuati dai tedeschi nel ‘45. Indossiamo la frontale, estremamente necessaria, ed entriamo ad esplorare il forte che trasuda storia in ogni suo mattone. Lo percorriamo per l’intera lunghezza dove, al termine, notiamo una piccola galleria e si perde nel buio pesto. Siamo qui per esplorare e quindi, via verso l’ignoto, nell’oscurità trafitta solo dal bagliore della mia frontale. Il tunnel è veramente lungo e tortuoso, in leggera discesa. Comincio a palesare l’idea di tornare indietro, quando sento uno spruzzo d’aria fresca arrivare di fronte a me. Ecco poco dopo sulla sinistra la via d’uscita! Sbuchiamo così qualche decina di metri nel retro del forte verso la Val Carbonere. Una bellissima scoperta che ci ha galvanizzati. Rientriamo nel forte e per via diretta sotto ad un porticato caratteristico ritorniamo nella parte frontale.
Decidiamo di percorrere il sentiero segnato che avrebbe dovuto condurci direttamente al forte per scoprire dove la frana ha interrotto il suo tracciato. Anche qui troviamo un breve tunnel che ci fa sbucare sulla mulattiera poco più avanti. La traccia diventa via via più ampia e comoda. Arriviamo al bivio con il sentiero CAI 874 e procediamo in leggera discesa in direzione Sud. Arriviamo così all’interruzione del sentiero divorato dalla frana della “Panocia” del Pizon. Notiamo una labile traccia sull’estremo bordo della frana che conduce al tratto di mulattiera dove siamo in questo momento. Resta il fatto che la variante descritta in precedenza è la via più comoda e sicura per raggiungere il forte di San Martino.



Data

12-11-2023

Distanza

19.14 KM

Tipo escursione

Escursione

Dislivello

913 mt

  • Montagna

    Sasso di San Martino

  • Indirizzo

    Agordo, Veneto, Italy

  • Altitudine

    1056.00 m

  • Rifugi

  • Informazioni

Torniamo sui nostri passi e al bivio scegliamo la via verso Est in direzione del Pianaz. Alla prima curva verso destra si nota un maestoso bassorilievo nella roccia che dovrebbe rappresentare uno stemma di una brigata, molto probabilmente il “7° Alpini”, visto il numero impresso nella parte alta della figura. Procediamo in costante salita fino ad arrivare alla serie di tre gallerie che forano questa dorsale del Pizòn. I tunnel risultano di costruzione relativamente recente, successivi alla Grande Guerra. Prima, infatti, esisteva una vecchia strada militare creata nel 1915 che seguiva il fianco della montagna più a valle. Questa è ancora percorribile, si può notare all’uscita della prima galleria e l’inizio del percorso è individuabile all’uscita della terza galleria sulla destra. Il primo dei tunnel risulta il più lungo e necessita di una torcia. Al suo interno diverse fenditure longitudinali permettono di diversificare la progressione lineare.
All’uscita dell’ultima galleria ci troviamo su un grazioso ponticello in legno dal quale possiamo ammirare una cascata meravigliosa che crea un catino d’acqua di un color smeraldo. Dal lato opposto, lo stesso ruscello che arriva dalla Val Carbonere, compie una seconda cascata in direzione del Cordevole. Un colpo d’occhio che merita una pausa per goderne appieno tutte le particolarità! Come riportato dal Soppelsa, il toponimo Carbonère ricorda il periodo in cui questi monti vennero quasi del tutto disboscati per ottenere dalla legna il carbone vegetale indispensabile per i processi di lavorazione e fusione del rame nel vicino complesso minerario della val Impèrina.
Immediatamente dopo il ponte è presente un bivio: la via in discesa porta alla Valle Impèrina, l’altra in salita viene indicata per la Forcella dell’Om e il Bus de le Neole. Quest’ultimo luogo sarà sicuramente un obiettivo della prossima stagione primaverile/estiva. Seguiamo questa traccia in salita con un susseguirsi di tornanti che ci fanno guadagnare velocemente dislivello. Durante la progressione non possiamo che ammirare il colore cangiante dei faggi giallo-arancio, dei larici in lontananza e delle betulle anch’esse in stile autunnale. Raggiungiamo quota 1050 metri dove ci accoglie un pianoro denominato per l’appunto Pianàz. La vista è eccezionale: si può ammirare tutta la conca agordina, sulla sinistra svetta l’Agnèr, seguono le Pale di San Lucano, il monte Pezza, la Palazza Alta, il Mont’alt di Pelsa innevato, il Framont fino ad arrivare al Moiazza. Un panorama, seppur contenuto, che regala comunque grandi emozioni!
Facciamo dietrofront tra alberi schiantati che interrompono l’accesso finale al Pianaz, e ritorniamo sul sentiero CAI 874 percorrendo a ritroso i numerosi tornati. Al bivio, trovato poco dopo l’uscita dalla terza galleria, prendiamo la via di discesa che fa parte del sentiero tematico “La Via degli Ospizi”. Un percorso di circa 20 km che dalla Certosa di Vedana, al cospetto del monte Peròn, arriva alle miniere della Valle Impèrina attraverso un antico tracciato di collegamento tra la Valle del Piave e l’Agordino, lungo il quale si incontrano alcuni ospizi di fondazione medievale.
Scendiamo su tratto ripido e in breve raggiungiamo il bordo inferiore della montagna a bordo del Cordevole che ci accompagna con il suo fragore. Superiamo anche un caratteristico rivolo d’acqua che crea sbuffi e cascatelle molto graziose. Arriviamo così ad un bivio, che rincontreremo più tardi , e procediamo in direzione Nord-Ovest verso le miniere. Percorriamo una serie di ponticelli in legno apparentemente instabili e poco affidabili. Siamo nel punto in cui più di cento anni fa c’era il Ponte del Cristo (Pònt del Cristo), del quale rimane solo un vecchio basamento in ferro visibile sul letto del torrente Cordevole. Interessante Ottone Brentari nel 1887 in una sezione in cui descrive lo stesso percorso verso le miniere: “Al Ponte del Cristo (costruito in ferro nel 1886) si ripassa sulla destra del Cordevole”. Mentre Teddy Soppelsa nel 2005: “[…] edificato nel 1886, i cui resti si scorgono ancora sul greto del Cordévole. Il ponte venne fatto saltare, nel 1917, dai guastatori della "Brigata Alpi".”.
Ultimo tratto di sentiero a mezza costa ed arriviamo al villaggio minerario di Valle Impèrina! Un luogo dove ogni mattone è pregno di storia. Una vecchia centrale idroeltettrica ci accoglie in questa esplorazione con un museo a cielo aperto composto di vecchie turbine e motori idraulici di fattura tedesca e italiana dei primi del ‘900. Seguiamo il sentiero ben curato e notiamo vecchie scuderie, ex ricoveri per i minatori, le fucine, fino ad arrivare all’attuale Ostello e Ristorante Valle Impèrina, rimesso a nuovo per gli escursionisti.
Riporto il principio dell’accurata relazione che Ottone Brentari fa nel suo libro. Mi riservo di condividere solo l’inizio per non annoiare, ma sono disponibile a chi ne avesse il desiderio, di condividere l’intera storia delle miniere presente nel libro del 1887: “Da Agordo per Pontalto (v. p. 250 in circa ½ ora si scende alle Fucine delle Miniere di Agordo (v. p. 257); visita che nessuno ometterà di fare se à anche poche ore disponibili. La scoperta e principio della miniera non sono conosciute, e ciù perchè un incendio tremendo distrusse nel 1635 la massima parte di Agordo con tutti gli archivi. Notisi però che nel celebre documento del 1347, con cui l'imperatore Carlo IV investe Jacopo Avoscano del capitanato di Agordo, non si fa il menomo cenno delle miniere, mentre si nominano pure tante altre cose: prova indiretta, mi pare, che allora le miniere non esistevano. Esse devono adunque essere state scoperte e lavorate verso la fine del sec. XIV o principio del XV: chè il Catullo (Delle Miniere delle Alpi Venete) riporta che nello statuto bellunese del 1420 si fa cenno di questa miniera: e Marin Sanudo nel suo Itinerario (1483) ne parla con queste parole: « Da poi si trova le Carbonare, et la fusina dove si colla rami, che era di Zuam Piero da la Torre da Treviso; et mia uno è poi le buse, le qual le vidi, ed era cussì intitolate: San Michel, Santa Barbara, San Zorzi, Santa Trinita; et vi andai per entro, si va passa 56; ed vidi uno maestro Sboicer, todesco, con una barba longa. Qui dentro ste buse è sempre aque, et homeni cava, dentro con lume. Questo monte, dove è sta vena chiamata Agort, è alto mia 10. » Dalla relazione poi mandata al doge dal podestà Francesco Soranzo si impara che la miniera nel 1529 occupava 300 uomini; ed un documento del 1559 racconta di una inondazione avvenuta nella Finin pretro pot i propriapi Persate dal Palonia filoni argentiferi. In una scrittura del 1568 si parla di un'altra inondazione che recò grandi guasti nel sotterraneo e fece crollare le volte di alcuni stolli (= Gallerie, dal tedesco Stollen), e di continui litigi fra gli investiti. Un proclama delli 28 Dicembre 1568 ordina che tutto l'argento della miniera debba passare alla zecca di Venezia per esservi convertito in argento di “marco”. [...]”.
Interessante anche un trafiletto in cui viene descritto il profitto di questo luogo a fine ‘800: “[…] La miniera di Agordo si trova ancora in grado di fornire per molti anni all'industria italiana un'annua produzione di circa 200,000 chilog. di rame, 30,000 di zolfo, e 2,000,000 di vetriolo verde o solfato di ferro.
Ora si è pure iniziata la vendita della pirite povera in rame ai fabbricatori di acido solforico; e se questo smercio prende piede, come pare non vi sia dubbio, si potranno alienare 8 o 10 milioni di chil. di pirite all'anno.
Il rame rosetta venne venduto in questi ultimi anni a
L. 1.60 il chil. ed il rame malleabile in piastre e lingotti a
L. 1.80; lo zolfo a cent. 13, ed il vetriolo a cent. 5 il chil.
Nella miniera si chiamano gallerie o stolli le contrade sotterranee orizzontali o quasi. Le gallerie sboccano in altre gallerie, procedono, si diramano, finiscono. Alcune, tagliate nella viva roccia, si sostengono da se, altre sono sostenute da grosse travi ed armature. Non in tutte si può camminare diritti. In alcune l'aria è calda, affannosa, in altre fresca. In fondo ad ogni galleria lavorano due o tre uomini, rischiarando la roccia con lumicino ad olio. [...]

Incredibile da quanto tempo queste zone siano state utilizzate a scopi minerari! Passate di mano dai popoli tedeschi, ai Lombardi, alla Repubblica di Venezia, fino ai giorni nostri, dove l’attività mineraria dapprima riconvertita alla produzione di acido solforico, smise ogni produzione nel 1962. Per oltre trent’anni questi luoghi furono lasciati nel degrado più assoluto fino alla nuova valorizzazione che godiamo ai giorni nostri.
Dopo esserci riempiti gli occhi di tanta storia, torniamo sui nostri passi e ripercorriamo lo stesso sentiero dell’andata, fino al bivio descritto in precedenza. Qui procediamo in direzione Sud-Est verso il Pian Castello (“Pian dei Nof”), una radura di erba incolta dove sbuca una casera diroccata. Anche questo luogo, meno d’impatto, nasconde una sorpresa: “[…] passato su una tavola il torrentello, continuare per la mulattiera che traversa il Piano della Polenta. Sotto di questo, e tosto a N. del sasso, si trovano in grande quantità gli Edelweis. È questa una cosa rarissima e notevolissima; perchè questi gentili fiori alpini, che di regola non si trovano che oltre i 2000 m. di altezza sul mare, qui prosperano in un luogo che è presso a poco a m. 520 sul mare!”.
Le stelle alpine! In questo pianoro che Brentari chiama “Piano della Polenta”, erano presenti (o lo sono ancora in stagione) le stelle alpine, ad una quota veramente impossibile.
Seguiamo la traccia che si perde nell’erba alta. Chiari ometti in pietra ci permettono comunque una facile progressione. Entriamo nuovamente nella Val Carbonere. Davanti a noi il Sasso di San Martino, un monolite levigato ai lati con un cespuglio di alberi che gli fa da copricapo. Il ruscello che scende dalla valle e si immette sul Cordevole crea dei cadini smeraldi che ci accompagnano fino ad un ponticello. Qui passiamo sulla destra orografica del ruscello e ci troviamo in un canyon molto caratteristico. Rocce con vene rossastre ci ricordano che abbiamo appena lasciato le miniere di rame. Saliamo su una traccia ben visibile e in breve eccoci nuovamente al forte di San Martino. Manca un’esplorazione: la cima del Sasso!
Ci viene in aiuto nuovamente Ottone Brentari: “[…] si giunge al Corpo di Guardia, piccolo fortino che chiude la stretta gola fra il Sasso ed il monte che s'innalza sulla destra della Valle Serrade. Di qui in altri 5 min., per il sentiero che gira prima il lato O. e quindi a N. del dosso, si giunge alla vetta del Sasso di S. Martino, grossa rupe arrotondata che chiude la valle. Si vedono di lassù verso N. O. i piani di Noach e buona parte della strada verso Agordo, l'Agnèr e Pale di S. Lucano, e verso S. E. i monti verso Belluno, fra i quali la Gusella di Vescova. Esistono ancora i ruderi della cappelletta di S. Martino.”.
Sembra impossibile, ma seguendo alla lettera queste indicazioni abbiamo trovato il sentieretto, ancora percorribile, quasi agevole, tranne per qualche albero caduto. Saliamo, siamo vicini e... ecco la cima! Ci lascia un po’ con l’amaro in bocca poiché la sommità è praticamente un’unica catasta di alberi schiantati. Cerchiamo i resti della chiesetta ma evidentemente sono stati fagocitati dalla vegetazione. Quando stiamo per perdere le speranze, ecco che un paio di rocce accatastate in modo lineare e ordinato ci fanno sussultare: sì, potrebbe proprio essere una parte di muro della vecchia chiesetta del ‘400 che qui si stagliava solitaria!
Siamo soddisfatti della riscoperta, torniamo al forte contenti di questa avventura. Non ci resta che scendere ma, il cartello “Gallerie” che notiamo all’imbocco del sentiero di discesa ci lascia perplessi: dove sono queste altre gallerie? Abbiamo praticamente esplorato tutto qui attorno e non le abbiamo viste. Seguiamo su questa, dapprima esile e poi ampissima, traccia e notiamo un’altra galleria inedita. Effettuiamo quest’ultima avventura in compagnia della frontale e scopriamo un dedalo di varianti che portano verso l’alto: torniamo in cima al Sasso di San Martino? Le battiamo palmo a palmo e sulla direttrice più ripida vediamo un foro del tunnel che sembra non ancora terminato. Usciamo infatti a fatica dalla galleria e sbuchiamo praticamente sulla sommità del Sasso, circondati da altri alberi schiantati. Ci rituffiamo nella galleria non proprio agevole in questo punto ed usciamo da un’altra variante più in basso. Ritroviamo il sentiero esterno e lo percorriamo a ritroso fino a ricongiungerci nuovamente al forte e alla via di discesa. Tornati alla casa cantoniera, in breve torniamo alla macchina ricordandoci di voltarci e di ammirare in lontananza l’Agnèr che si sta tingendo dei colori del tramonto.
Termina così questa avventura veramente sorprendente che ci ha regalato aneddoti e singolarità ad ogni passo. Il panorama è stato protagonista come in tutte le escursioni, ma qui oggi c’è stato molto di più. Un insieme di tappe che ci hanno lasciato senza parole tra miti, storia e montagne dai colori autunnali. Un’escursione non eccessivamente lunga e faticosa che ci ha regalato emozioni davvero suggestive. Adatta comunque ad escursionisti esperti per la difficoltà di orientamento in alcuni punti (soprattutto quelli più esplorativi), un’alternativa alle più blasonate vie dell’agordino.




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Difficoltà

Escursionisti Esperti - sono intinerari generalmente segnalati ma con qualche difficoltà: il terreno può essere costituito da pendii scivolosi di erba, misti di rocce ed erba, pietraie, lievi pendii innevati o anche singoli passaggi rocciosi di facile arrampicata (uso delle mani in alcuni punti). Pur essendo percorsi che non necessitano di particolare attrezzatura, si possono presentare tratti attrezzati se pur poco impegnativi. Richiedono una discreta conoscenza dell'ambiente alpino, passo sicuro ed assenza di vertigini. La preparazione fisica deve essere adeguata ad una giornata di cammino abbastanza continuo.



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