Cima Sasso Bianco

Alla scoperta della vetta preferita dall’esploratrice Amelia Edwards

Nuova avventura nell’agordino assieme al mitico Enrico. Oggi ripercorriamo le orme della prima escursionista che ha raggiunto la cima del Sasso Bianco: l’esploratrice inglese di fine Ottocento, Amelia Edwards.
Raggiungiamo di buon’ora l’abitato della frazione Pecol del comune di San Tomaso Agordino. La strada è asfaltata ma abbastanza stretta. Fortunatamente è stato creato un ampio parcheggio dove è presente il segnavia con indicazione “Rifugio Sasso Bianco”. Non dovesse esserci posto in questo nuovo spiazzo, ci sono alcuni posti a bordo strada. La giornata è fin da subito calda con un sole che non ha intenzione di dare tregua. Ci prepariamo a puntino, zaino in spalla e iniziamo l’ampia strada che ci si prospetta davanti.
La carrareccia è molto ampia, scavata tra le rocce di porfido e il bosco del Monte di Sotto. La via non combacia con la traccia riportata dalla cartina Tabacco. Rispetto a quanto riportato nella cartografia, la strada è decisamente più agevole e con una pendenza più dolce. Molto probabilmente questa nuova via di accesso è stata creata appositamente per accedere velocemente al bosco dopo la rovinosa tempesta Vaia. Ai lati del percorso, infatti, notiamo diversi alberi schiantati accanto a numerosi tronchi adeguatamente segati e pronti al trasporto.
Cominciamo a vedere i primi vecchi fienili, i tabià in legno, e alla quota di 1400 metri circa la strada continua all’interno del bosco, ma un segnale con sentiero sulla sinistra ci notifica il cambio di direzione per raggiungere il rifugio. Ci addentriamo così nel sottobosco, in ogni caso non così fresco. Il terreno varia quasi subito da terroso con radici affioranti ad asfalto grezzo ottimizzato per la stagione invernale. Anche se non sembra, vista la differenza di larghezza con l’ampia strada appena lasciata, questa traccia viene utilizzata da jeep dei residenti che hanno i tabià proprio qui. Il sentiero asfaltato prende un’inclinazione decisa e permette di guadagnare molto dislivello in poche centinaia di metri. I fienili in legno cominciano ad essere più frequenti e anche le tipologie si distinguono tra legno vecchio tarlato e tabià rimessi a nuovo con tanto di targhe con il nome.
Finita la salita asfaltata, il sentiero ritorna sassoso e ci porta in breve ad un’apertura panoramica verso le Pale di San Lucano. Siamo sulla “Costa delle Palote” dove di fatto termina la strada carrabile ed è presente la teleferica utilizzata dal rifugio per ricevere gli oggetti più pesanti in comodità. Comincia da qui un sentiero finalmente degno del suo nome tra prati verdeggianti sempre accolti dal bosco circostante. Un ponticello in legno ci preannuncia una speciale salita che costeggia un rigoglioso e spumeggiante ruscello. Balzi rocciosi creano giocose cascate e la traccia si sviluppa sul bordo di queste meraviglie. Da prestare attenzione in questa parte di sentiero per la presenza di rocce bagnate che potrebbero non garantire un passo sempre sicuro.
Siamo ora a quota 1700 metri circa, si sale decisamente, in questo tratto particolare che dall’ombra del bosco si apre con i primi panorami aerei sulle cime circostanti. Siamo sopra la balza rocciosa del Monte di Sopra. Raggiungiamo l’ultimo tratto in salita con segnavia “Colfosch” (1790 metri) e la pendenza quasi si annulla. Un prato comodo e rilassante ci introduce ad un pianoro costellato di una miriade di casette in legno. Sembra di essere tornati indietro nel tempo: bambini che giocano a palla, locali che tagliano l’erba, profumo di fieno, profumo di campi in fiore. Sullo sfondo torreggia un casone in legno più grande degli altri: siamo arrivati al rifugio Sasso Bianco!
Il rifugio domina questa distesa erbosa, nel girarci per ammirare il panorama alle nostre spalle abbiamo un sussulto: l’inconfondibile parete del Civetta è davanti a noi, maestosa, senza interruzioni, sembra di poterla toccare! Ci concediamo una piccola pausa e guardiamo il restante percorso verso la cima sulla grande cartina stampata a lato del rifugio. Continuiamo così sull’unico sentiero di giornata, la traccia CAI 623, guadagnando fin da subito del dislivello inoltrandoci dapprima in un breve tratto boscoso, per poi uscire su distesa con erba alta (con vista Civetta). In pochi minuti raggiungiamo la sella dalla quale continuare verso Ovest salendo il crinale. Diverse segnaletiche verticali invitano ad Est verso Pecol-Piaia, mentre a Nord verso i prati del Giardògn. Proprio da questo luogo è salita l’esploratrice Amelia Edwards durante la propria ascensione a fine Ottocento. Da qui immaginiamo di ricongiungerci al suo viaggio: lei ancora a cavallo, noi invece sempre a piedi.
La dorsale sale costantemente aprendo saltuariamente a panorami incredibili verso il Col di Lana, l’Alta Badia e le Tofane. Procediamo in direzione Nord-Ovest verso il Sasso Nero, una vecchia calotta vulcanica. In breve arriviamo proprio vicino all’apice della calotta, superiamo un breve tratto franato e aggiriamo la cima del Sasso Nero. Arriviamo così su un dolce falsopiano che ci permette di osservare una barriera rocciosa che appare ardita. Nel libro “Cime Inviolate e Valli sconosciute”, Amelia Edwards descriveva così questo punto: ”La salita non è facile e noi, arrampicatrici improvvisate, non l'affrontiamo nelle migliori condizioni. Sfruttiamo le ineguaglianze del terreno e le piccole crepe come gradini naturali, ma sono così ripidi e sporgenti da ricordarci i rozzi e consunti gradini della Grande Piramide. E se non fosse per Giuseppe, che si arrampica davanti a noi per offrirci aiuto all'occorrenza con la forza di un argano, la scrittrice per prima non avrebbe superato l'ultima barriera. Lungo questo tratto, breve ma inflessibile, ci aspettiamo di intravedere un profilo, un segno che indichi la vetta, ma essa resta ostinatamente invisibile e a noi sembra di allontanarcene irrimediabilmente.”
Amelia ha ragione per la brevità del tratto e dell’impossibilità di vedere ancora la cima ambita, ma ora la traccia è ben evidente. È presente anche un cavo metallico che dovrebbe fornire maggiore sicurezza. Purtroppo ad oggi, in mancanza di manutenzione, appare più pericoloso che utile allo scopo. Con attenzione superiamo agilmente la balza rocciosa e ci ritroviamo in una conca verdeggiante con una chiara indicazione “Cima Sasso Bianco”. Poco più avanti troviamo dapprima l’indicazione per l’anticima “Cima Plan”, successivamente un grosso masso con vernice rossa e relativa freccia identificano la nostra metà di giornata. Il sentiero procede in direzione differente rispetto all’indicazione della freccia presente sul masso. Io consiglio di seguire la freccia. Si procede così su dorsale erbosa, molto comoda, dove è visibile un timido sentiero. Si procede con pendenza decisa ma mai troppo faticosa. Guadagnano quota e in meno di mezz’ora arriviamo vicini all’anticima. In direzione Ovest si può vedere chiaramente il sentiero che si avvicina alla cresta che congiunge cima ed anticima. Da qui possiamo vedere la punta del Sasso Bianco, mancano pochi passi! Scendiamo di qualche decina di metri tra i prati per raggiungere la forcella di congiunzione tra le cime. Ora riprendiamo il sentiero ufficiale e procediamo spediti verso la vetta. Vediamo la conca verso il Sasso Nero, la vista aerea comincia ad essere incontrastata, il vento sferza e finalmente ci rinfresca per la prima volta nella giornata. Il tratto esile terroso permette di salire gli ultimi metri regalandoci delle finestre a strapiombo verso Rocca Pietore. Ultimi passi, svolta verso Nord, ed eccoci: cima del Sasso Bianco! 2407 metri sul livello del mare, sulla cuspide piramidale di Dolomia del gruppo del monte Pezza. Una vetta che si staglia al centro della totalità delle Dolomiti tra l’agordino, lo zoldano, l’ampezzano fino all’Alta Badia e alle cime austriache! Dopo poco più di tre ore da Pecol, eccoci in vetta con un panorama mozzafiato!
Qui è d’obbligo riportare la testimonianza dell’arrivo in vetta della prima conquistatrice, assieme alla sua compagna di avventure e ai due portatori locali, con un siparietto tutto da ridere: ”Erano già le undici e mezza: non avendo più toccato cibo dalle cinque ed essendo saliti di quattro o cinque mila piedi da quella prima colazione, ci sentivamo, e con diritto, veramente affamati. Così, prima di verificare l'altitudine, individuare le cime e le relative distanze, ci demmo daffare alacremente col paniere del pranzo e non trovammo certamente meno gustoso il solito pasto di uova sode e pane. L'acqua nella fiasca era calda, ma l'ingegnoso Clementi la mescolò con un grosso blocco di neve fatto sciogliere al sole e con un poco di brandy, ottenendo così una bevanda fresca e deliziosa. Mentre ci concedevamo quel frugale festino, Clementi con la vista acutissima del cacciatore di camosci, riconobbe la cameriera di "L." (che egli chiama la "Signora Cameriera") sul ponte del Cordevole, appena fuori dal villaggio. Noi non riuscimmo a distinguere che un puntino nero, non più grande della capocchia di uno spillo, ma a Clementi non sfuggi nemmeno la piccolissima macchia del parasole. I due uomini furono subito in piedi, legarono un fazzoletto ad un ombrello bianco e legato questo ad uno dei nostri alpenstock, lo sventolarono con vigore a guisa di segnale. L'eccitazione che accompagnava questo tentativo durò un intero quarto d'ora durante il quale la minuscola macchia nera rimase immobile sul ponte e si quietò solamente quando essa si dissolse lentamente in direzione di Caprile.”
Il panorama è a 360 gradi, si parte dalla Civetta spostandosi verso Ovest si possono osservare il Mont Alt de Pelsa, dietro il Moiazza, si vede perfettamente tutta la Valle Agordina, con le Pale di San Lucano, la Cima Pape, da dietro spunta l’inconfondibile Agnèr. Si continua per le Pale di San Martino di Castrozza, la cima della Vezzana, fino al Sass Vernel, la cima Ombreta e la maestosa Marmolada. Si conclude l’anello passando il gruppo del Sella con il Piz Boè, il Col di Lana, il Sass de la Crusc e il Piz de Lavarela dell’Alta Badia, il Lagazuoi, le Tofane d’Ampezzo, il Becco di Mezzodì, il Sorapiss fino all’annuvolato Pelmo! Voglio riproporre la descrizione di Amelia Edwards nei confronti della Marmolada (che al tempo identificavano in “Marmolata”) e del Civetta: ”Alla distanza di sole due miglia in linea d'aria sorgono, in tutta la loro imponenza, la Marmolata e la Civetta. Quest'ultima riempie l'intera visuale verso sud est, fino alla linea dell'orizzonte: enormi masse di nebbia fluttuano ancora lungo la parete smisurata le cui sommità si tuffano nelle azzurre profondità del cielo. La Marmolata si delinea con un ardito e nitido profilo, non velato nemmeno da una bava di nebbia. Mr. Gilbert, allorché dal Sasso di Dam, quindi da ovest, si trovò ad osservare il profilo di questa montagna, lo paragonò ad un enorme portapenne con il lato verticale verso sud e il lungo costone nevoso verso nord. Ma dal nostro angolo di prospettiva, verso est, si distingue chiaramente il profondo baratro che ne divide gli alti picchi e fa assurdamente assomigliare la montagna alla familiare feluca del primo Napoleone: la parete perpendicolare è naturalmente la falda anteriore del noto copricapo e il pendio nevoso corrisponde alla parte poste-riore. Un largo fiume di neve giace nel letto profondo del canalone e il lato nord è una linea tutta d'argento, mentre restano invisibili da questo punto le grandi distese nevose e i ghiacciai del versante che guarda il Passo di Fedaia.”
Ci godiamo queste bellezze, ci concediamo finalmente una bella pausa ristoratrice e osserviamo anche le valli sottostanti baciate dal sole. L’abitato di Rocca Pietore è il più caratteristico e continuando con lo sguardo verso Ronch notiamo i monoliti che da qui sembrano dei semplici sassoni senza arte né parte (scopri l’avventura al Sass da Ronch). Ci rimettiamo in sesto e cominciamo la discesa per la stessa via dell’andata.
All’altezza della forcella tra le due cime scegliamo di percorrere la traccia segnata procedendo nell’evidente tratturo che taglia il manto erboso come una lama. Ritorniamo in breve alla deviazione con l’indicazione sul grosso masso visto in precedenza. Procediamo in direzione della balza rocciosa da percorrere con attenzione, di seguito sui prati del Sasso Nero e infine al rifugio Sasso Bianco. Qui una bella birra fresca ci fa rilassare al cospetto della vista del Civetta oggi completamente sgombro da nubi. La discesa da qui verso Pecol è rapida, quasi di corsa, le gambe ormai vanno da sole. Più si scende e più il caldo ci opprime e ci rimanda subito al piacevole fresco trovato in vetta. Raggiungiamo l’auto e ci congratuliamo nuovamente a vicenda per la splendida escursione vissuta!
Un’avventura abbastanza lunga, per escursionisti sicuramente allenati per sopportare gli oltre 1000 metri di dislivello per arrivare in cima al Sasso Bianco. È possibile comunque arrivare al rifugio e godere di una splendida giornata immersi nella natura con un panorama che non è secondo a nessuno. La vetta invece regala emozioni sicuramente uniche che ripagano della fatica. Chiudo questa relazione con un’ultima considerazione di Amelia Edwards, protagonista assoluta e fautrice di questa avventura la quale aveva un amore smisurato per questa montagna che per prima ha conquistato. La sua visione è perfettamente combaciante con la nostra escursione di oggi: ”Avremmo potuto scegliere, come ho già detto, una giornata più bella. Avremmo potuto... vedere Venezia e l'Adriatico se in mezzo non si frapponessero catene di scarsa importanza; forse il Lago di Garda a sud est; e forse l'Ortles, se proprio davanti non sorgesse la Marmolata. Battute a parte, il panorama a nord e a nord ovest era meraviglioso e la visione delle Dolomiti circostanti di estremo interesse. Credo di essere nel giusto dubitando che esistano altri punti dai quali sia possibile ammirare tutti i giganti della zona altrettanto felicemente e con la stessa soddisfazione.”

Nuova avventura nell’agordino assieme al mitico Enrico. Oggi ripercorriamo le orme della prima escursionista che ha raggiunto la cima del Sasso Bianco: l’esploratrice inglese di fine Ottocento, Amelia Edwards.
Raggiungiamo di buon’ora l’abitato della frazione Pecol del comune di San Tomaso Agordino. La strada è asfaltata ma abbastanza stretta. Fortunatamente è stato creato un ampio parcheggio dove è presente il segnavia con indicazione “Rifugio Sasso Bianco”. Non dovesse esserci posto in questo nuovo spiazzo, ci sono alcuni posti a bordo strada. La giornata è fin da subito calda con un sole che non ha intenzione di dare tregua. Ci prepariamo a puntino, zaino in spalla e iniziamo l’ampia strada che ci si prospetta davanti.
La carrareccia è molto ampia, scavata tra le rocce di porfido e il bosco del Monte di Sotto. La via non combacia con la traccia riportata dalla cartina Tabacco. Rispetto a quanto riportato nella cartografia, la strada è decisamente più agevole e con una pendenza più dolce. Molto probabilmente questa nuova via di accesso è stata creata appositamente per accedere velocemente al bosco dopo la rovinosa tempesta Vaia. Ai lati del percorso, infatti, notiamo diversi alberi schiantati accanto a numerosi tronchi adeguatamente segati e pronti al trasporto.
Cominciamo a vedere i primi vecchi fienili, i tabià in legno, e alla quota di 1400 metri circa la strada continua all’interno del bosco, ma un segnale con sentiero sulla sinistra ci notifica il cambio di direzione per raggiungere il rifugio. Ci addentriamo così nel sottobosco, in ogni caso non così fresco. Il terreno varia quasi subito da terroso con radici affioranti ad asfalto grezzo ottimizzato per la stagione invernale. Anche se non sembra, vista la differenza di larghezza con l’ampia strada appena lasciata, questa traccia viene utilizzata da jeep dei residenti che hanno i tabià proprio qui. Il sentiero asfaltato prende un’inclinazione decisa e permette di guadagnare molto dislivello in poche centinaia di metri. I fienili in legno cominciano ad essere più frequenti e anche le tipologie si distinguono tra legno vecchio tarlato e tabià rimessi a nuovo con tanto di targhe con il nome.
Finita la salita asfaltata, il sentiero ritorna sassoso e ci porta in breve ad un’apertura panoramica verso le Pale di San Lucano. Siamo sulla “Costa delle Palote” dove di fatto termina la strada carrabile ed è presente la teleferica utilizzata dal rifugio per ricevere gli oggetti più pesanti in comodità. Comincia da qui un sentiero finalmente degno del suo nome tra prati verdeggianti sempre accolti dal bosco circostante. Un ponticello in legno ci preannuncia una speciale salita che costeggia un rigoglioso e spumeggiante ruscello. Balzi rocciosi creano giocose cascate e la traccia si sviluppa sul bordo di queste meraviglie. Da prestare attenzione in questa parte di sentiero per la presenza di rocce bagnate che potrebbero non garantire un passo sempre sicuro.
Siamo ora a quota 1700 metri circa, si sale decisamente, in questo tratto particolare che dall’ombra del bosco si apre con i primi panorami aerei sulle cime circostanti. Siamo sopra la balza rocciosa del Monte di Sopra. Raggiungiamo l’ultimo tratto in salita con segnavia “Colfosch” (1790 metri) e la pendenza quasi si annulla. Un prato comodo e rilassante ci introduce ad un pianoro costellato di una miriade di casette in legno. Sembra di essere tornati indietro nel tempo: bambini che giocano a palla, locali che tagliano l’erba, profumo di fieno, profumo di campi in fiore. Sullo sfondo torreggia un casone in legno più grande degli altri: siamo arrivati al rifugio Sasso Bianco!
Il rifugio domina questa distesa erbosa, nel girarci per ammirare il panorama alle nostre spalle abbiamo un sussulto: l’inconfondibile parete del Civetta è davanti a noi, maestosa, senza interruzioni, sembra di poterla toccare! Ci concediamo una piccola pausa e guardiamo il restante percorso verso la cima sulla grande cartina stampata a lato del rifugio. Continuiamo così sull’unico sentiero di giornata, la traccia CAI 623, guadagnando fin da subito del dislivello inoltrandoci dapprima in un breve tratto boscoso, per poi uscire su distesa con erba alta (con vista Civetta). In pochi minuti raggiungiamo la sella dalla quale continuare verso Ovest salendo il crinale. Diverse segnaletiche verticali invitano ad Est verso Pecol-Piaia, mentre a Nord verso i prati del Giardògn. Proprio da questo luogo è salita l’esploratrice Amelia Edwards durante la propria ascensione a fine Ottocento. Da qui immaginiamo di ricongiungerci al suo viaggio: lei ancora a cavallo, noi invece sempre a piedi.
La dorsale sale costantemente aprendo saltuariamente a panorami incredibili verso il Col di Lana, l’Alta Badia e le Tofane. Procediamo in direzione Nord-Ovest verso il Sasso Nero, una vecchia calotta vulcanica. In breve arriviamo proprio vicino all’apice della calotta, superiamo un breve tratto franato e aggiriamo la cima del Sasso Nero. Arriviamo così su un dolce falsopiano che ci permette di osservare una barriera rocciosa che appare ardita. Nel libro “Cime Inviolate e Valli sconosciute”, Amelia Edwards descriveva così questo punto: ”La salita non è facile e noi, arrampicatrici improvvisate, non l'affrontiamo nelle migliori condizioni. Sfruttiamo le ineguaglianze del terreno e le piccole crepe come gradini naturali, ma sono così ripidi e sporgenti da ricordarci i rozzi e consunti gradini della Grande Piramide. E se non fosse per Giuseppe, che si arrampica davanti a noi per offrirci aiuto all'occorrenza con la forza di un argano, la scrittrice per prima non avrebbe superato l'ultima barriera. Lungo questo tratto, breve ma inflessibile, ci aspettiamo di intravedere un profilo, un segno che indichi la vetta, ma essa resta ostinatamente invisibile e a noi sembra di allontanarcene irrimediabilmente.”
Amelia ha ragione per la brevità del tratto e dell’impossibilità di vedere ancora la cima ambita, ma ora la traccia è ben evidente. È presente anche un cavo metallico che dovrebbe fornire maggiore sicurezza. Purtroppo ad oggi, in mancanza di manutenzione, appare più pericoloso che utile allo scopo. Con attenzione superiamo agilmente la balza rocciosa e ci ritroviamo in una conca verdeggiante con una chiara indicazione “Cima Sasso Bianco”. Poco più avanti troviamo dapprima l’indicazione per l’anticima “Cima Plan”, successivamente un grosso masso con vernice rossa e relativa freccia identificano la nostra metà di giornata. Il sentiero procede in direzione differente rispetto all’indicazione della freccia presente sul masso. Io consiglio di seguire la freccia. Si procede così su dorsale erbosa, molto comoda, dove è visibile un timido sentiero. Si procede con pendenza decisa ma mai troppo faticosa.



Data

08-07-2023

Distanza

15.58 KM

Tipo escursione

Escursione

Dislivello

1305 mt

  • Montagna

    Sasso Bianco

  • Indirizzo

    San Tomaso Agordino, Veneto, Italy

  • Altitudine

    2407.00 m

  • Rifugi

    Rifugio Sasso Bianco

  • Informazioni

    Rifugio Sasso Bianco

Guadagnano quota e in meno di mezz’ora arriviamo vicini all’anticima. In direzione Ovest si può vedere chiaramente il sentiero che si avvicina alla cresta che congiunge cima ed anticima. Da qui possiamo vedere la punta del Sasso Bianco, mancano pochi passi! Scendiamo di qualche decina di metri tra i prati per raggiungere la forcella di congiunzione tra le cime. Ora riprendiamo il sentiero ufficiale e procediamo spediti verso la vetta. Vediamo la conca verso il Sasso Nero, la vista aerea comincia ad essere incontrastata, il vento sferza e finalmente ci rinfresca per la prima volta nella giornata. Il tratto esile terroso permette di salire gli ultimi metri regalandoci delle finestre a strapiombo verso Rocca Pietore. Ultimi passi, svolta verso Nord, ed eccoci: cima del Sasso Bianco! 2407 metri sul livello del mare, sulla cuspide piramidale di Dolomia del gruppo del monte Pezza. Una vetta che si staglia al centro della totalità delle Dolomiti tra l’agordino, lo zoldano, l’ampezzano fino all’Alta Badia e alle cime austriache! Dopo poco più di tre ore da Pecol, eccoci in vetta con un panorama mozzafiato!
Qui è d’obbligo riportare la testimonianza dell’arrivo in vetta della prima conquistatrice, assieme alla sua compagna di avventure e ai due portatori locali, con un siparietto tutto da ridere: ”Erano già le undici e mezza: non avendo più toccato cibo dalle cinque ed essendo saliti di quattro o cinque mila piedi da quella prima colazione, ci sentivamo, e con diritto, veramente affamati. Così, prima di verificare l'altitudine, individuare le cime e le relative distanze, ci demmo daffare alacremente col paniere del pranzo e non trovammo certamente meno gustoso il solito pasto di uova sode e pane. L'acqua nella fiasca era calda, ma l'ingegnoso Clementi la mescolò con un grosso blocco di neve fatto sciogliere al sole e con un poco di brandy, ottenendo così una bevanda fresca e deliziosa. Mentre ci concedevamo quel frugale festino, Clementi con la vista acutissima del cacciatore di camosci, riconobbe la cameriera di "L." (che egli chiama la "Signora Cameriera") sul ponte del Cordevole, appena fuori dal villaggio. Noi non riuscimmo a distinguere che un puntino nero, non più grande della capocchia di uno spillo, ma a Clementi non sfuggi nemmeno la piccolissima macchia del parasole. I due uomini furono subito in piedi, legarono un fazzoletto ad un ombrello bianco e legato questo ad uno dei nostri alpenstock, lo sventolarono con vigore a guisa di segnale. L'eccitazione che accompagnava questo tentativo durò un intero quarto d'ora durante il quale la minuscola macchia nera rimase immobile sul ponte e si quietò solamente quando essa si dissolse lentamente in direzione di Caprile.”
Il panorama è a 360 gradi, si parte dalla Civetta spostandosi verso Ovest si possono osservare il Mont Alt de Pelsa, dietro il Moiazza, si vede perfettamente tutta la Valle Agordina, con le Pale di San Lucano, la Cima Pape, da dietro spunta l’inconfondibile Agnèr. Si continua per le Pale di San Martino di Castrozza, la cima della Vezzana, fino al Sass Vernel, la cima Ombreta e la maestosa Marmolada. Si conclude l’anello passando il gruppo del Sella con il Piz Boè, il Col di Lana, il Sass de la Crusc e il Piz de Lavarela dell’Alta Badia, il Lagazuoi, le Tofane d’Ampezzo, il Becco di Mezzodì, il Sorapiss fino all’annuvolato Pelmo! Voglio riproporre la descrizione di Amelia Edwards nei confronti della Marmolada (che al tempo identificavano in “Marmolata”) e del Civetta: ”Alla distanza di sole due miglia in linea d'aria sorgono, in tutta la loro imponenza, la Marmolata e la Civetta. Quest'ultima riempie l'intera visuale verso sud est, fino alla linea dell'orizzonte: enormi masse di nebbia fluttuano ancora lungo la parete smisurata le cui sommità si tuffano nelle azzurre profondità del cielo. La Marmolata si delinea con un ardito e nitido profilo, non velato nemmeno da una bava di nebbia. Mr. Gilbert, allorché dal Sasso di Dam, quindi da ovest, si trovò ad osservare il profilo di questa montagna, lo paragonò ad un enorme portapenne con il lato verticale verso sud e il lungo costone nevoso verso nord. Ma dal nostro angolo di prospettiva, verso est, si distingue chiaramente il profondo baratro che ne divide gli alti picchi e fa assurdamente assomigliare la montagna alla familiare feluca del primo Napoleone: la parete perpendicolare è naturalmente la falda anteriore del noto copricapo e il pendio nevoso corrisponde alla parte poste-riore. Un largo fiume di neve giace nel letto profondo del canalone e il lato nord è una linea tutta d'argento, mentre restano invisibili da questo punto le grandi distese nevose e i ghiacciai del versante che guarda il Passo di Fedaia.”
Ci godiamo queste bellezze, ci concediamo finalmente una bella pausa ristoratrice e osserviamo anche le valli sottostanti baciate dal sole. L’abitato di Rocca Pietore è il più caratteristico e continuando con lo sguardo verso Ronch notiamo i monoliti che da qui sembrano dei semplici sassoni senza arte né parte (scopri l’avventura al Sass da Ronch). Ci rimettiamo in sesto e cominciamo la discesa per la stessa via dell’andata.
All’altezza della forcella tra le due cime scegliamo di percorrere la traccia segnata procedendo nell’evidente tratturo che taglia il manto erboso come una lama. Ritorniamo in breve alla deviazione con l’indicazione sul grosso masso visto in precedenza. Procediamo in direzione della balza rocciosa da percorrere con attenzione, di seguito sui prati del Sasso Nero e infine al rifugio Sasso Bianco. Qui una bella birra fresca ci fa rilassare al cospetto della vista del Civetta oggi completamente sgombro da nubi. La discesa da qui verso Pecol è rapida, quasi di corsa, le gambe ormai vanno da sole. Più si scende e più il caldo ci opprime e ci rimanda subito al piacevole fresco trovato in vetta. Raggiungiamo l’auto e ci congratuliamo nuovamente a vicenda per la splendida escursione vissuta!
Un’avventura abbastanza lunga, per escursionisti sicuramente allenati per sopportare gli oltre 1000 metri di dislivello per arrivare in cima al Sasso Bianco. È possibile comunque arrivare al rifugio e godere di una splendida giornata immersi nella natura con un panorama che non è secondo a nessuno. La vetta invece regala emozioni sicuramente uniche che ripagano della fatica. Chiudo questa relazione con un’ultima considerazione di Amelia Edwards, protagonista assoluta e fautrice di questa avventura la quale aveva un amore smisurato per questa montagna che per prima ha conquistato. La sua visione è perfettamente combaciante con la nostra escursione di oggi: ”Avremmo potuto scegliere, come ho già detto, una giornata più bella. Avremmo potuto... vedere Venezia e l'Adriatico se in mezzo non si frapponessero catene di scarsa importanza; forse il Lago di Garda a sud est; e forse l'Ortles, se proprio davanti non sorgesse la Marmolata. Battute a parte, il panorama a nord e a nord ovest era meraviglioso e la visione delle Dolomiti circostanti di estremo interesse. Credo di essere nel giusto dubitando che esistano altri punti dai quali sia possibile ammirare tutti i giganti della zona altrettanto felicemente e con la stessa soddisfazione.”




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Difficoltà

Escursionisti Esperti - sono intinerari generalmente segnalati ma con qualche difficoltà: il terreno può essere costituito da pendii scivolosi di erba, misti di rocce ed erba, pietraie, lievi pendii innevati o anche singoli passaggi rocciosi di facile arrampicata (uso delle mani in alcuni punti). Pur essendo percorsi che non necessitano di particolare attrezzatura, si possono presentare tratti attrezzati se pur poco impegnativi. Richiedono una discreta conoscenza dell'ambiente alpino, passo sicuro ed assenza di vertigini. La preparazione fisica deve essere adeguata ad una giornata di cammino abbastanza continuo.



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