Da Rocca Pietore al Sass di Ronch

Sulle orme dell’esploratrice di fine ‘800 Amelia B. Edwards

Partenza sotto zero. La riunione di condominio dei gracchi. L’abitato di Ronch e la vista sulla “Regina” e il “Re” delle Dolomiti. I monoliti. Il vero Sass di Ronch e la sua leggenda. La signora che cammina sul ghiaccio.

Nuova avventura in un luogo inedito. Superato Caprile, mi dirigo alla volta di Rocca Pietore dove trovo un ampio parcheggio isolato in procinto della partenza del sentiero CAI che voglio intraprendere. La temperatura è ampiamente sotto lo zero: il termometro segna -7,5 gradi e il freddo pungente comincia a pervadermi non appena comincio ad allacciarmi gli scarponi. Si parte!
Lascio l’auto nella strada sotto al cimitero del paese e raggiungo in breve l’abitato di Troi. Qui il sentiero sembra entrare direttamente in casa dei paesani. Seguo un tratto irto su strada asfaltata grezza e, superata una baita con annessa fontanella, mi introduco nel bosco ombroso. Nel corso della settimana la neve è scesa abbondante e sebbene la quota sia relativamente bassa (1200 metri circa), il manto bianco è sempre presente sia nelle zone assolate, sia all’interno della macchia boschiva. In questo primo tratto si alternano tratti farinosi, dove lo scarpone affonda leggermente mai scomparendo del tutto, ad altri più ghiacciati dove i cristalli scricchiolano sotto la suola.
Continuo su traccia battuta e molto ampia che nella cartina Tabacco è rappresentata da un tratteggiato nero. Molto probabilmente Vaia del 2018 ha modificato notevolmente la geografia dei sentieri e questa, che doveva essere una semplice traccia, è diventata la via principale. In tutto il percorso si nota come la tempesta Vaia sia ancora spiacevolmente attuale con moltissimi alberi spezzati e accatastati dalla furia di quella notte. Supero la zona denominata Valacia su tracciato leggermente pendente, molto piacevole per la progressione. Guado un piccolo rio e mi si presenta il primo panorama speciale sulla maestosa Civetta. In breve raggiungo la Busa dei Cervi dove trovo pile di legna ordinatamente accatastate. Sono così sulla strada principale correttamente riportata dalla Tabacco.
Improvvisamente un richiamo di un gracchio cattura la mia attenzione. Volgo lo sguardo verso delle balze rocciose che completano il Monte Migogn e resto fulminato da una danza spettacolare: uno stormo di gracchi comincia a volteggiare in cielo fluttuando sinuosamente da sinistra a destra, una timida pausa e poi via verso l’alto, in gruppo, un richiamo all’ordine e il ritorno verso le rocce. Questa danza leggiadra continua per un minuto abbondante e appare ai miei occhi come un’assemblea in cui tutti i gracchi della zona discutono su quale sia il luogo migliore dove andare a riposare con il freddo pungente.
Dopo questa parentesi da documentario della BBC, procedo in direzione Laste su sentiero segnalato da un segnavia CAI che permette di “tagliare” alcuni piccoli tornanti. Si raggiunge così la terra panoramica del Col dei Pioge: un’ampia finestra sul Cordevole con una magnifica vista sulla Civetta, Caprile e Rocca Pietore. Sulla sinistra comincia a delinearsi la sagoma del Pelmo! Proprio su questo colle c’era una Croce (ora è presente un capitello) e Amelia Edwards scriveva così: “… una Croce che si leva sopra una cresta di rocce perpendicolari, in un punto panoramico dove si apre una larga visuale verso sud. La parete strapiomba fino a valle per un migliaio di piedi e forse più: Clementi [accompagnatore dell’esploratrice] ci racconta che la Croce fu posta in quel punto non certo per indicare il panorama a « Messieurs les Etrangers », ma per ricordare la morte di un giovanissimo pastore il quale a soli undici anni, andando in cerca di un capretto smarrito, cadde da quell'interminabile precipizio e si sfracellò prima ancora di raggiungere il fondo.”
Continuo la salita raggiungendo il Pian de Fesura dal quale parte una chiara indicazione per le varie soluzioni escursionistiche in questa zona. Seguo la traccia per i monoliti di Ronch e, grazie ad una traccia di un capriolo, supero questo breve tratto non battuto su neve quasi fresca. Passata una lingua boscosa, esco vicino ad una baita isolata dalla quale si ha una splendida vista sul Sasso Bianco. Proseguo per una traccia che sale ora decisa in direzione Nord, fino ad incrociare la strada asfaltata ai piedi dell’abitato di Ronch. Questo paesino arroccato sul cucuzzolo gode di una splendida vista su Rocca Pietore. Un presepio di legno in piazza accanto ad una fontanella ghiacciata, mi introduce nel sentiero con il cartello “Ferrata Sass de Rocia”. Capisco quindi di essere vicino alla meta.
Il Sass de Rocia è l’attuale nome di uno dei monoliti di Ronch, il più famoso. Su questa roccia oggi è presente una facile ferrata che permette di raggiungere la vetta anche grazie ad un ponte metallico. Dal punto in cui sono posso già intravvedere il monolite tra le fronde degli abeti. Raggiungo in breve la base della roccia che appare decisamente più incombente: una verticalità quasi assoluta e una larghezza che non sembrava così estesa. Un masso imponente che annichilisce lo spettatore con il naso all’insù. Procedo nel percorrere il perimetro del menhir per cercare la prospettiva vista da Amelia Edwards nello schizzo presente nel romanzo. Guardando da diverse angolazioni non riesco a trovare la giusta immagine che avevo memorizzato nella mia testa. Possibile che Amelia avesse disegnato una roccia in maniera così fantasiosa?
Durante questa ricerca mi imbatto nell’entrata alla ferrata tra una sottilissima spaccatura del blocco roccioso. Mi preparo con la giusta attrezzatura e comincio il tratto attrezzato. Arrivo alla scaletta verticale con i pioli di ferro conficcati nella roccia e procedo fino alla cima del primo tratto. Al culmine è presente un compatto strato nevoso, molto probabilmente nessuno si è avventurato in questi ultimi giorni fin quassù. Vedo che un altro piccolo tratto verticale mi attende lì davanti. Purtroppo però le dita delle mani cominciano ad essere ghiacciate, i pioli di ferro sono congelati e, sebbene abbia i guanti, il freddo pungente passa attraverso fino a raggiungere la pelle. Decido di scendere e rimandare la ferrata in estate. Scendo la scala a pioli e arrivo alla base non sentendo più le dita: confermo di aver fatto la scelta giusta!
Torno all’abitato di Ronch e intraprendo la strada che porta in direzione Ovest-Nord-Ovest. Mi ritrovo sul sentiero CAI 636 che porta al Monte Migogn (o Migion) e al rifugio Migon. Affianco un secondo monolite imponente quanto il Sass de Rocia. Trovo un’indicazione affissa sullo stesso masso che indica “Sass de la Murada”. Continuo fino a raggiungere l’apice nord della base del menhir e noto che questa pietra è più snella e affusolata. Qui trovo una baita, costruita con legname decisamente molto vecchio… e se fosse questo il Sass di Ronch indicato dall’esploratrice inglese? Continuo ad aggirarlo e a guardarlo da diversi punti. Forse si, ho trovato la giusta prospettiva! Mi addentro nel bosco con la neve che mi raggiunge quasi la vita. Raggiungo un grande masso e mi volto: è proprio lui! Vedo una “stalagmite” di dolomia che si erge appuntita verso il cielo azzurro come fosse un tagliacarte conficcato nel terreno! Finalmente l’ho trovato! Amelia Edwards lo descriveva così: […] E là, sulla cresta, appartato, solitario come la rovina di uno spalto abbattuto, il Sasso si erge ad un'altezza di almeno 250 piedi sopra il tappeto erboso che gli fa da base. Osservandone ora il profilo, mi riuscì difficile credere che si trattava del medesimo Sasso di Ronch che avevamo osservato dal basso. Sembrava un ago, una guglia, sproporzionatamente sottile rispetto all'altezza, incurvato in cima come stesse per precipitare. Qualcuno ha paragonato il Matterhorn alla testa di un cavallo che fa capolino dietro la Valle di Zermatt; allo stesso modo, possiamo paragonare il Sasso di Ronch, visto da questa prospettiva, alla testa di una giraffa.
Un’autentica emozione! Riuscire a ritrovare la figura della montagna descritta 150 anni fa e che ancora si erge lì indisturbata nella sua esile mole. Da questo punto fa capolino anche la Civetta a coronare un panorama quasi fiabesco. Contentissimo dell’esplorazione, ritorno sui miei passi e mi metto alla ricerca di un ultimo dettaglio che mi ha colpito nel racconto di Edwards: la leggenda del castello del Sass di Ronch.
Nel racconto di Amelia Edwards, sulla via del ritorno, incontrò un anziano contadino che chiese se aveva notato le rovine del Castello. Sconcertata, Amelia, che non aveva veduto alcuna rovina, si fece raccontare di più dal vecchio: “Il Castello, egli cominciò, fu costruito dai Visconti, i crudeli Visconti di Milano, verso la fine del quattordicesimo secolo con lo scopo di intimidire «la Repubblica» di Rocca [Rocca Pietore] sulla quale esercitavano una sovranità soltanto nominale. Ma quando il potere dei Visconti ebbe fine, la «brava Comune», temendo che i nobili di Belluno si impadronissero della fortezza a danno del popolo, la abbatterono, lasciando a malapena due pietre una sull'altra. Questo accadde quattro o cinque secoli fa. In seguito, i nobili di Belluno, ai quali veniva impedito l'accesso alle montagne, riuscirono a costruire il Castello di Andraz, lassù nella Valle di Buchenstein, terrorizzando tutto il paese. […] Quanto all'«antico castello» sui bastioni del Sasso, era come un vecchio albero a cui avessero tagliato il tronco e di cui restassero solo le radici. Null'altro infatti era stato risparmiato all'infuori delle fondamenta che, essendo di roccia, si confondono con la roccia stessa e può accadere di calpestarle un centinaio di volte senza notarle. Infatti non c'è più molta gente del luogo che sappia dove cercarle. Ai tempi della sua gioventù, continuò il vecchio, i contadini salivano spesso lassù e scavavano con la speranza di dissotterrare un tesoro nascosto, ma furono sempre allontanati da spaventosi lemuri. Perché infatti, nei sotterranei del castello, il cui accesso si era perduto, erano ancora rinchiusi demoni terribili che apparivano sotto forma di serpenti, provocando travolgenti tempeste di vento e di saette per tenere lontani coloro che tentavano di scoprire i segreti delle rovine.
Ma egli aveva mai visto questi demoni? No, pensava proprio di no, poiché lui il demonio non l'aveva mai provocato andando a cercare il tesoro, ma molte, molte volte aveva veduto e udito infuriare la tempesta sulla cima della montagna mentre giù a valle il tempo era sereno. Tanto tempo prima aveva conosciuto un valligiano che, a mezzanotte della vigilia di S. Giovanni, era salito sulla montagna per scavare in un certo punto dove, secondo un sogno, l'oro era sepolto. Quando ebbe aperto una buca profonda, ecco che ne uscirono cinque serpentelli neri, non più grandi delle sue dita: deluso e spaventato, alzò la spada e tagliò in due uno di quei rettili. Ed ecco che in un istante la buca fu piena di serpi: emergevano verso di lui a migliaia, in una calca orrenda, grossi, neri, velenosi torcendosi e sibilando. E se egli, correndo a precipizio, sfuggì alla morte, fu un vero miracolo.”

Incuriosito da questa storia, ho trovato molto probabilmente il luogo descritto dal contadino. Appena sopra le ultime case di Ronch, in direzione del Sass de la Murada, si notano una serie di massi ben disposti. Mi sono arrampicato per osservare più da vicino e si nota proprio una forma quasi rettangolare sulla disposizione delle poche pietre rimaste. Anche la posizione strategica lascia intendere che quello poteva proprio essere un luogo adatto per un castello.
Dopo questa scorpacciata di storia, di bellezze naturali e di Montagna, ritorno sulla traccia del centro di Ronch e imbocco il sentiero CAI che mi fa ricongiungere alla via dell’andata. Passo nuovamente per il Col dei Pioge dove il cielo azzurro mi permette di immortalare un panorama ancor più ameno. Scelgo di procedere per la via più lunga in discesa per compiere una specie di anello. Intraprendo quindi la strada ufficiale che porta alla diga sul Ru de Rocia. Qui non trovo il sentiero riportato sulla cartina della Tabacco e devo guadare il rio ghiacciato poco più a valle della diga. Sull’altra sponda del rio mi aspetta una selvaggia ravanata in mezzo alla boscaglia. Una traccia di un capriolo mi permette di raggiungere agevolmente, a parte alcuni sprofondamenti fino al ginocchio nella neve super ghiacciata, la strada dell’andata vicino alle baite di Troi.
Scendo la stradina asfaltata molto irta e raggiungo la strada asfaltata di Rocca Pietore. Intravedo in lontananza il parcheggio e la macchina. Gli ultimi metri sono una lastra di ghiaccio completa. Nella mia mente si palesa l’idea di mettere i ramponcini, ma la breve distanza mi fa desistere. Così pian piano, procedo camminando sulle uova stando attento a dove metto i piedi per non scivolare. Quasi al parcheggio, incrocio una signora anziana del posto, con la borsa della spesa in mano, che procede spedita sulla strada ghiacciata con ai piedi un paio di Crocs blu cobalto! In questo momento tutte le mie sicurezza di essere un discreto alpinista si frantumano e non posso che ammirare questa signora che letteralmente “vola” sul ghiaccio: i montanari sono di un altro livello!
Si conclude così una splendida avventura esplorativa sulle orme di Amelia Edwards. Un’escursione che sicuramente ripercorrerò per approfondire la via ferrata al Sass de Rocia. La camminata è adatta a tutti gli escursionisti con un minimo di allenamento. Il dislivello si aggira attorno ai 650 metri di ascesa. Si raggiungono al massimo i 1650 metri di quota e per questo è una meta che può essere scelta in tutte le stagioni dell’anno. Inoltre, può essere intrapresa come uscita nel caso di tempo incerto: in poco più di 4 ore si completa l’intero itinerario descritto.

Partenza sotto zero. La riunione di condominio dei gracchi. L’abitato di Ronch e la vista sulla “Regina” e il “Re” delle Dolomiti. I monoliti. Il vero Sass di Ronch e la sua leggenda. La signora che cammina sul ghiaccio.

Nuova avventura in un luogo inedito. Superato Caprile, mi dirigo alla volta di Rocca Pietore dove trovo un ampio parcheggio isolato in procinto della partenza del sentiero CAI che voglio intraprendere. La temperatura è ampiamente sotto lo zero: il termometro segna -7,5 gradi e il freddo pungente comincia a pervadermi non appena comincio ad allacciarmi gli scarponi. Si parte!
Lascio l’auto nella strada sotto al cimitero del paese e raggiungo in breve l’abitato di Troi. Qui il sentiero sembra entrare direttamente in casa dei paesani. Seguo un tratto irto su strada asfaltata grezza e, superata una baita con annessa fontanella, mi introduco nel bosco ombroso. Nel corso della settimana la neve è scesa abbondante e sebbene la quota sia relativamente bassa (1200 metri circa), il manto bianco è sempre presente sia nelle zone assolate, sia all’interno della macchia boschiva. In questo primo tratto si alternano tratti farinosi, dove lo scarpone affonda leggermente mai scomparendo del tutto, ad altri più ghiacciati dove i cristalli scricchiolano sotto la suola.
Continuo su traccia battuta e molto ampia che nella cartina Tabacco è rappresentata da un tratteggiato nero. Molto probabilmente Vaia del 2018 ha modificato notevolmente la geografia dei sentieri e questa, che doveva essere una semplice traccia, è diventata la via principale. In tutto il percorso si nota come la tempesta Vaia sia ancora spiacevolmente attuale con moltissimi alberi spezzati e accatastati dalla furia di quella notte. Supero la zona denominata Valacia su tracciato leggermente pendente, molto piacevole per la progressione. Guado un piccolo rio e mi si presenta il primo panorama speciale sulla maestosa Civetta. In breve raggiungo la Busa dei Cervi dove trovo pile di legna ordinatamente accatastate. Sono così sulla strada principale correttamente riportata dalla Tabacco.
Improvvisamente un richiamo di un gracchio cattura la mia attenzione. Volgo lo sguardo verso delle balze rocciose che completano il Monte Migogn e resto fulminato da una danza spettacolare: uno stormo di gracchi comincia a volteggiare in cielo fluttuando sinuosamente da sinistra a destra, una timida pausa e poi via verso l’alto, in gruppo, un richiamo all’ordine e il ritorno verso le rocce. Questa danza leggiadra continua per un minuto abbondante e appare ai miei occhi come un’assemblea in cui tutti i gracchi della zona discutono su quale sia il luogo migliore dove andare a riposare con il freddo pungente.
Dopo questa parentesi da documentario della BBC, procedo in direzione Laste su sentiero segnalato da un segnavia CAI che permette di “tagliare” alcuni piccoli tornanti. Si raggiunge così la terra panoramica del Col dei Pioge: un’ampia finestra sul Cordevole con una magnifica vista sulla Civetta, Caprile e Rocca Pietore. Sulla sinistra comincia a delinearsi la sagoma del Pelmo! Proprio su questo colle c’era una Croce (ora è presente un capitello) e Amelia Edwards scriveva così: “… una Croce che si leva sopra una cresta di rocce perpendicolari, in un punto panoramico dove si apre una larga visuale verso sud. La parete strapiomba fino a valle per un migliaio di piedi e forse più: Clementi [accompagnatore dell’esploratrice] ci racconta che la Croce fu posta in quel punto non certo per indicare il panorama a « Messieurs les Etrangers », ma per ricordare la morte di un giovanissimo pastore il quale a soli undici anni, andando in cerca di un capretto smarrito, cadde da quell'interminabile precipizio e si sfracellò prima ancora di raggiungere il fondo.”
Continuo la salita raggiungendo il Pian de Fesura dal quale parte una chiara indicazione per le varie soluzioni escursionistiche in questa zona. Seguo la traccia per i monoliti di Ronch e, grazie ad una traccia di un capriolo, supero questo breve tratto non battuto su neve quasi fresca. Passata una lingua boscosa, esco vicino ad una baita isolata dalla quale si ha una splendida vista sul Sasso Bianco. Proseguo per una traccia che sale ora decisa in direzione Nord, fino ad incrociare la strada asfaltata ai piedi dell’abitato di Ronch. Questo paesino arroccato sul cucuzzolo gode di una splendida vista su Rocca Pietore. Un presepio di legno in piazza accanto ad una fontanella ghiacciata, mi introduce nel sentiero con il cartello “Ferrata Sass de Rocia”. Capisco quindi di essere vicino alla meta.
Il Sass de Rocia è l’attuale nome di uno dei monoliti di Ronch, il più famoso. Su questa roccia oggi è presente una facile ferrata che permette di raggiungere la vetta anche grazie ad un ponte metallico. Dal punto in cui sono posso già intravvedere il monolite tra le fronde degli abeti. Raggiungo in breve la base della roccia che appare decisamente più incombente: una verticalità quasi assoluta e una larghezza che non sembrava così estesa. Un masso imponente che annichilisce lo spettatore con il naso all’insù. Procedo nel percorrere il perimetro del menhir per cercare la prospettiva vista da Amelia Edwards nello schizzo presente nel romanzo. Guardando da diverse angolazioni non riesco a trovare la giusta immagine che avevo memorizzato nella mia testa. Possibile che Amelia avesse disegnato una roccia in maniera così fantasiosa?
Durante questa ricerca mi imbatto nell’entrata alla ferrata tra una sottilissima spaccatura del blocco roccioso. Mi preparo con la giusta attrezzatura e comincio il tratto attrezzato. Arrivo alla scaletta verticale con i pioli di ferro conficcati nella roccia e procedo fino alla cima del primo tratto. Al culmine è presente un compatto strato nevoso, molto probabilmente nessuno si è avventurato in questi ultimi giorni fin quassù. Vedo che un altro piccolo tratto verticale mi attende lì davanti. Purtroppo però le dita delle mani cominciano ad essere ghiacciate, i pioli di ferro sono congelati e, sebbene abbia i guanti, il freddo pungente passa attraverso fino a raggiungere la pelle. Decido di scendere e rimandare la ferrata in estate. Scendo la scala a pioli e arrivo alla base non sentendo più le dita: confermo di aver fatto la scelta giusta!



Data

28-01-2023

Distanza

11.45 KM

Tipo escursione

Ciaspolata

Dislivello

650 mt

  • Montagna

    Monoliti di Ronch

  • Indirizzo

    Rocca Pietore, Veneto, Italy

  • Altitudine

    1651.00 m

  • Rifugi

  • Informazioni

Torno all’abitato di Ronch e intraprendo la strada che porta in direzione Ovest-Nord-Ovest. Mi ritrovo sul sentiero CAI 636 che porta al Monte Migogn (o Migion) e al rifugio Migon. Affianco un secondo monolite imponente quanto il Sass de Rocia. Trovo un’indicazione affissa sullo stesso masso che indica “Sass de la Murada”. Continuo fino a raggiungere l’apice nord della base del menhir e noto che questa pietra è più snella e affusolata. Qui trovo una baita, costruita con legname decisamente molto vecchio… e se fosse questo il Sass di Ronch indicato dall’esploratrice inglese? Continuo ad aggirarlo e a guardarlo da diversi punti. Forse si, ho trovato la giusta prospettiva! Mi addentro nel bosco con la neve che mi raggiunge quasi la vita. Raggiungo un grande masso e mi volto: è proprio lui! Vedo una “stalagmite” di dolomia che si erge appuntita verso il cielo azzurro come fosse un tagliacarte conficcato nel terreno! Finalmente l’ho trovato! Amelia Edwards lo descriveva così: […] E là, sulla cresta, appartato, solitario come la rovina di uno spalto abbattuto, il Sasso si erge ad un'altezza di almeno 250 piedi sopra il tappeto erboso che gli fa da base. Osservandone ora il profilo, mi riuscì difficile credere che si trattava del medesimo Sasso di Ronch che avevamo osservato dal basso. Sembrava un ago, una guglia, sproporzionatamente sottile rispetto all'altezza, incurvato in cima come stesse per precipitare. Qualcuno ha paragonato il Matterhorn alla testa di un cavallo che fa capolino dietro la Valle di Zermatt; allo stesso modo, possiamo paragonare il Sasso di Ronch, visto da questa prospettiva, alla testa di una giraffa.
Un’autentica emozione! Riuscire a ritrovare la figura della montagna descritta 150 anni fa e che ancora si erge lì indisturbata nella sua esile mole. Da questo punto fa capolino anche la Civetta a coronare un panorama quasi fiabesco. Contentissimo dell’esplorazione, ritorno sui miei passi e mi metto alla ricerca di un ultimo dettaglio che mi ha colpito nel racconto di Edwards: la leggenda del castello del Sass di Ronch.
Nel racconto di Amelia Edwards, sulla via del ritorno, incontrò un anziano contadino che chiese se aveva notato le rovine del Castello. Sconcertata, Amelia, che non aveva veduto alcuna rovina, si fece raccontare di più dal vecchio: “Il Castello, egli cominciò, fu costruito dai Visconti, i crudeli Visconti di Milano, verso la fine del quattordicesimo secolo con lo scopo di intimidire «la Repubblica» di Rocca [Rocca Pietore] sulla quale esercitavano una sovranità soltanto nominale. Ma quando il potere dei Visconti ebbe fine, la «brava Comune», temendo che i nobili di Belluno si impadronissero della fortezza a danno del popolo, la abbatterono, lasciando a malapena due pietre una sull'altra. Questo accadde quattro o cinque secoli fa. In seguito, i nobili di Belluno, ai quali veniva impedito l'accesso alle montagne, riuscirono a costruire il Castello di Andraz, lassù nella Valle di Buchenstein, terrorizzando tutto il paese. […] Quanto all'«antico castello» sui bastioni del Sasso, era come un vecchio albero a cui avessero tagliato il tronco e di cui restassero solo le radici. Null'altro infatti era stato risparmiato all'infuori delle fondamenta che, essendo di roccia, si confondono con la roccia stessa e può accadere di calpestarle un centinaio di volte senza notarle. Infatti non c'è più molta gente del luogo che sappia dove cercarle. Ai tempi della sua gioventù, continuò il vecchio, i contadini salivano spesso lassù e scavavano con la speranza di dissotterrare un tesoro nascosto, ma furono sempre allontanati da spaventosi lemuri. Perché infatti, nei sotterranei del castello, il cui accesso si era perduto, erano ancora rinchiusi demoni terribili che apparivano sotto forma di serpenti, provocando travolgenti tempeste di vento e di saette per tenere lontani coloro che tentavano di scoprire i segreti delle rovine.
Ma egli aveva mai visto questi demoni? No, pensava proprio di no, poiché lui il demonio non l'aveva mai provocato andando a cercare il tesoro, ma molte, molte volte aveva veduto e udito infuriare la tempesta sulla cima della montagna mentre giù a valle il tempo era sereno. Tanto tempo prima aveva conosciuto un valligiano che, a mezzanotte della vigilia di S. Giovanni, era salito sulla montagna per scavare in un certo punto dove, secondo un sogno, l'oro era sepolto. Quando ebbe aperto una buca profonda, ecco che ne uscirono cinque serpentelli neri, non più grandi delle sue dita: deluso e spaventato, alzò la spada e tagliò in due uno di quei rettili. Ed ecco che in un istante la buca fu piena di serpi: emergevano verso di lui a migliaia, in una calca orrenda, grossi, neri, velenosi torcendosi e sibilando. E se egli, correndo a precipizio, sfuggì alla morte, fu un vero miracolo.”

Incuriosito da questa storia, ho trovato molto probabilmente il luogo descritto dal contadino. Appena sopra le ultime case di Ronch, in direzione del Sass de la Murada, si notano una serie di massi ben disposti. Mi sono arrampicato per osservare più da vicino e si nota proprio una forma quasi rettangolare sulla disposizione delle poche pietre rimaste. Anche la posizione strategica lascia intendere che quello poteva proprio essere un luogo adatto per un castello.
Dopo questa scorpacciata di storia, di bellezze naturali e di Montagna, ritorno sulla traccia del centro di Ronch e imbocco il sentiero CAI che mi fa ricongiungere alla via dell’andata. Passo nuovamente per il Col dei Pioge dove il cielo azzurro mi permette di immortalare un panorama ancor più ameno. Scelgo di procedere per la via più lunga in discesa per compiere una specie di anello. Intraprendo quindi la strada ufficiale che porta alla diga sul Ru de Rocia. Qui non trovo il sentiero riportato sulla cartina della Tabacco e devo guadare il rio ghiacciato poco più a valle della diga. Sull’altra sponda del rio mi aspetta una selvaggia ravanata in mezzo alla boscaglia. Una traccia di un capriolo mi permette di raggiungere agevolmente, a parte alcuni sprofondamenti fino al ginocchio nella neve super ghiacciata, la strada dell’andata vicino alle baite di Troi.
Scendo la stradina asfaltata molto irta e raggiungo la strada asfaltata di Rocca Pietore. Intravedo in lontananza il parcheggio e la macchina. Gli ultimi metri sono una lastra di ghiaccio completa. Nella mia mente si palesa l’idea di mettere i ramponcini, ma la breve distanza mi fa desistere. Così pian piano, procedo camminando sulle uova stando attento a dove metto i piedi per non scivolare. Quasi al parcheggio, incrocio una signora anziana del posto, con la borsa della spesa in mano, che procede spedita sulla strada ghiacciata con ai piedi un paio di Crocs blu cobalto! In questo momento tutte le mie sicurezza di essere un discreto alpinista si frantumano e non posso che ammirare questa signora che letteralmente “vola” sul ghiaccio: i montanari sono di un altro livello!
Si conclude così una splendida avventura esplorativa sulle orme di Amelia Edwards. Un’escursione che sicuramente ripercorrerò per approfondire la via ferrata al Sass de Rocia. La camminata è adatta a tutti gli escursionisti con un minimo di allenamento. Il dislivello si aggira attorno ai 650 metri di ascesa. Si raggiungono al massimo i 1650 metri di quota e per questo è una meta che può essere scelta in tutte le stagioni dell’anno. Inoltre, può essere intrapresa come uscita nel caso di tempo incerto: in poco più di 4 ore si completa l’intero itinerario descritto.




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Difficoltà

Escursionisti - Itinerari su sentieri od evidenti tracce in terreno di vario genere (pascoli, detriti, pietraie...). Sono generalmente segnalati con vernice od ometti (pietre impilate a forma piramidale che permettono di individuare il percorso anche da lontano). Possono svolgersi anche in ambienti innevati ma solo lievemente inclinati. Richiedono attrezzatura ed una sufficiente capacità di orientamento, allenamento alla camminata anche per qualche ora.



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