Anello del Monte Rudo (Rautkofel)

Traversata alpinistica tra il sentiero di guerra del Monte Rudo e la Val Bulla

“Tempo stupendo, ben soleggiato con cielo sereno al mattino e sereno o poco nuvoloso per modesti cumuli a ridosso delle cime nelle ore più calde.” Questo l’ultimo bollettino dell’Arpav per la giornata che ci attende sulle Dolomiti. Io e Diego partiamo di buon mattino in direzione di Cortina dove ci attende la nostra roccia, la guida Alpina Edoardo che ci accompagnerà anche in questa nuova avventura. Il meteo sembra tutt’altro che “stupendo”: nuvole su nuvole anche tendenti al grigio scuro… Se il buon giorno si vede dal mattino… Siamo un po’ scoraggiati: non vogliamo che possa essere un brutto presagio per la spedizione di oggi.
L’obiettivo è l’anello del Monte Rudo, cima che si erge nella Val di Landro proprio al cospetto dell’omonimo lago. Si raggiunge da Cortina proseguendo per la SS51 verso Carbonin in direzione di Dobbiaco. Questo monte è stato la roccaforte dell’esercito austriaco nella Prima Guerra mondiale. Proprio qui sono stati dislocati diversi forti dai quali venivano puntati obici nella direzione del gruppo del Cristallo o del più vicino e “sotto tiro” Monte Piana. Abbiamo preso spunto da diverse fonti, tra tutte la relazione di Fabio Cammelli dell’estate 2020 pubblicata nella rivista “Le Alpi Venete”, primavera-estate 2021.
Superiamo il lago di Landro, dal quale si può sostare per una foto-cartolina sulle Tre Cime, e ci dirigiamo poco più avanti dell’ex Forte Landro sulla destra. Un comodo spiazzo permette di posteggiare diverse auto. Qui, ad attenderci, troviamo Marco: un nuovo componente del gruppo di ravanatori selvaggi!
Partiamo su carrareccia che si inoltra nel bosco in direzione NE. Dopo pochi minuti si devia decisamente verso destra (SE) superando un breve tratto sassoso franato recentemente e si torna immersi nella vegetazione. Alla nostra destra notiamo l’ex forte di Landro pochi metri sotto i nostri piedi. Saliamo accompagnati da arbusti di pini mughi (anche recentemente tagliati) e guadagnamo quota fino a circa 2000 mt dove cominciamo a vedere i primi muretti a secco, lì da oltre cent’anni. Si sale costantemente a zig zag con decisi tornanti ravvicinati fino ad uscire su un canale ghiaioso a quota 2175 mt dove troviamo il vecchio fortino austriaco. Un tempo, costellato di ricoveri in muratura e bunker, era anche meta di una teleferica. Oggi i resti permettono di avere visuali inedite sullo splendido gruppo del Cristallo, Cristallino di Misurina e Piz Popèna. Davanti a noi, vicinissima, la sagoma appiattita del Monte Piana. Proprio da queste postazioni, il 14 luglio del 1915 venivano sganciati proiettili a ripetizione sui soldati italiani. Antonio Berti nel libro “Guerra in Ampezzo e Cadore”, scriveva così:
[…] Alle 9 precise dal Col San’Angelo si innalza un razzo: è il segnale d’attacco. I fanti cominciano ad avanzare in direzione della Piramide Carducci. Quando spuntano sul ciglio del Pianoro Sud tutte le artiglierie del Monte Rudo, di Prato Piazza, del Col di Specie, aprono contemporaneamente il tiro. […] Un battaglione di fanteria giunge di rincalzo e occupa anch’esso il trinceramento che fiancheggia la Piramide. Il soldato, su quel pianoro scoperto, vede levarsi di fronte, vicina, la mole possente e sinistra del Monte Rudo, con i cannoni celati in caverne che sparano sicuri, incontrollabili, da quelle loro latèbre.
Piccola pausa e ripartiamo in direzione N su un sentiero di sassi (vari ometti che indicano la via) e facili roccette che arrampichiamo in velocità per raggiungere l’apice di un crinale. Arriviamo alle pendici della parete del Teston di Rudo, giriamo verso destra su una cengia molto stretta dalla quale notiamo un deciso salto roccioso verso valle. Si continua a salire grazie a questo incerto sentiero, fino a raggiungere una irta via creata da rocce e sfasciumi dalla quale usciamo sulla sinistra per compiere un passaggio esposto su un balzo di roccia di qualche metro. Da qui si prosegue in costa su cengia detritica più ampia della precedente. Il baratro al termine risulta essere sempre marcato, ma si riesce a progredire in modo spedito, senza difficoltà. Particolare attenzione in alcuni tratti in cui le rocce più sporgenti obbligano ad un appoggio con le mani per maggior sicurezza. Al termine della cengia la traccia di apre su un piccolo valloncello di erba e sassi che risaliamo a zig-zag. Sulla destra notiamo una ampia galleria da cui si ha una visuale eccezionale sul lago di Misurina.
Molto probabilmente questo luogo è lo stesso citato da Antonio Berti in questo passo de “Guerra in Ampezzo e Cadore”: 24 maggio 1915. Alle 8.45 un rombo fa sussultare gli uomini, li impietra sulle forcelle, ritti, con sospese in mano le zappe e le vanghe. Pochi secondi e un altro rombo, un grido da tutti i petti ad un tempo: “la guerra!”. I due colpi sono stati sparati sul tavolato del Monte Piana da quella mole rocciosa, massiccia, torva, che incombe su Landro e domina il Monte Piana: dal Monte Rudo che gli austriaci hanno trasformato in fortezza. […] Durante tutto il 24 maggio e la mattina del 25, pezzi di medio calibro austriaci, appostati nelle gallerie del monte Rudo e sul monte Specie, continuano a battere la Forcella Lavaredo e Forcella Col di Mezzo. Numerosi proiettili, dalle 16 in poi, sorvolano sibilando e scoppiano a Misurina: la lastra di ghiaccio, che copre ancora gran parte del lago, in 48 ore si scioglie. (da notare che a fine maggio in quegli anni c’era ancora il lago di Misurina ghiacciato!!!).
Raggiungiamo così quota 2500 mt circa, usciamo su una spalla erbosa che ci regala due viste spettacolari: una sulla maestosa parete del Monte Rudo Ovest con l’evidente traccia che dovremmo percorrere, e la magnifica vista delle Tre Cime accompagnata da un imponente rudere della Grande Guerra. Come riportato da Fabio Cammelli nella sua relazione: Questa costruzione formava, insieme a numerose postazioni di artiglieria e di osservazione, la cosiddetta “Kampfanlage Schwalbenkofel”, parte integrante dello sbarramento di Landro. Tra il 1915 e il 1917 venne usato come deposito e come ricovero abitato. Una breve pausa ci serve per studiare il percorso visibile davanti a noi. Notiamo anche una coppia che ci sta anticipando sulla via ma che devia nel ghiaione verso S-SE: hanno deciso di utilizzare l’ultima “via di fuga” per raggiungere la Valle della Rienza e non continuare sul sentiero di guerra.
Noi invece, sicuri, prendiamo il sentiero che dapprima scende fino ad arrivare ad un crinale ghiaioso che si spinge in direzione delle Tre Cime da cui abbiamo una splendida vista per una foto ricordo. Qui è il punto dove la coppia di escursionisti ha scelto di optare per l’alternativa verso la Valle della Rienza. Raggiungiamo la base del pilastro roccioso Ovest e da qui comincia la nostra avventura sul versante meridionale del Monte Rudo. Come in precedenza si sviluppa dapprima su cengetta franosa, per poi continuare su sali scendi e ripidi pendii sabbiosi intervallati da recenti impluvi creati da smottamenti e frane. Arriviamo a quota 2510 mt circa dove finalmente appoggiamo i piedi su una sella erbosa ampia e sorvegliata da una grande caverna, risalente anch’essa alla Grande Guerra. Da questo punto inizia la parte più impegnativa di tutto il percorso.
Il sentiero scende per poi evidentemente risalire in modo deciso su pendii franosi verso uno spigolo da cui svetta inconfondibile un ometto. Al termine del primo tratto di discesa troviamo un pezzo di traccia spazzato via da una frana. Anche Fabio Cammelli la cita nella relazione del 2020 ma, secondo me, solo marginalmente. Si deve risalire brevemente facendo affidamento su delle zolle erbose per poi proseguire su una risicatissima traccia rocciosa. Il tratto franato è sì breve ma molto esposto, bisogna avere la massima attenzione ad ogni minimo passo e non tergiversare troppo: chissà quanto ancora sarà presente questo minimo passaggio in cui ci sta a malapena uno scarpone davanti all’altro. Una volta messo il piede sul ghiaione di cengia sembra di stare su un’autostrada a confronto! Raggiungiamo la cima dello spigolo roccioso con non poca fatica vista la pendenza e la presenza di ghiaia fine in alcuni punti. La vista lascia senza fiato: davanti a noi si stagliano le Tre Cime e volgendo lo sguardo verso il basso la mitica scaletta! Dalla relazione di Fabio Cammelli sembra che questo sia il punto chiave dell’avventura di oggi. Prima differenza che noto è la vecchia scala di legno che è stata letteralmente buttata sopra un costone roccioso. La via per raggiungere il balzo di roccia con la scaletta è una strettissima lingua di terra, a bordo parete, con strapiombo molto esposto. Effettivamente con la calma, freddezza e passo fermo non si dovrebbe aver difficoltà a passarlo, ma noi optiamo per la sicurezza. Edoardo va in avanscoperta per capire se ci sono punti in cui poterci assicurare. L’unico appiglio è un fittone di ferro ben piantato a terra nella parte più ampia dello spigolo roccioso dove siamo in attesa. Diego parte per primo. Percorre sicuro il tratto esposto, supera le mini gradinate e arriva al limite del salto roccioso. Qui, ad un fittone di ferro è agganciato un filo (elettrico?!) a sua volta legato alla scala metallica. Diego testa la solidità del fittone e… gli resta in mano! Letteralmente il pezzo di ferro esce senza opporre quasi resistenza come una matita esce dal temperino. Tra timide risate e preoccupazione crescente, Diego lascia il fittone a terra per evitare che altri si possano affidare a questo strumento ormai obsoleto. La perplessità è la tenuta della scala ora che non c’è il filo o corda fine a tenerla fissa (come se un filo potesse tenere fissa una scala a dieci pioli). La scaletta traballa, ma Diego con il peso verso monte riesce a scenderla completamente. Tocca terra, sgancia il moschettone e così io e Marco ripercorriamo gli stessi passi. Diego ci tiene la scala salda e noi scendiamo sicuri verso la limitata base ghiaiosa. Attendiamo ora Edoardo che una volta recuperata la corda ci raggiunge in un baleno. Notiamo che la scaletta è ancorata con un chiodo ben fisso nella roccia, e con un paio di corde (molto fine a parer mio). Il peggio sembra passato… e invece. Il tratto che ci aspetta è esposto tanto quanto quello appena passato. Decidiamo di procedere in sicurezza, ma non ci sono appigli per la sicura, apparentemente. Edoardo prova a inserire un chiodo, per diversi tentativi, senza successo: la roccia è davvero marcia e non garantisce un minimo ancoraggio. Decide quindi di usare l’unico chiodo fisso già presente: quello della scaletta. Diego fa l’avanguardia e termina il breve tratto esposto in pochissimo tempo. Marco ed io seguiamo a ruota. Edoardo ci raggiunge con la solita leggiadria.
Si procede su salita con terreno detritico, ci giriamo continuamente per osservare il pezzo appena percorso: è davvero caratteristico con pinnacoli a picco e la stretta lingua sassosa che ci ha permesso di rimanere in costa. Usciamo su un nuovo terrazzo erboso con una chiara postazione militare con un muretto a secco a protezione verso lo strapiombo. Poco più avanti una seconda postazione di guerra sul ciglio del dirupo. Il panorama è impagabile: un anfiteatro sulle Tre Cime di Lavaredo, il Monte Paterno, il sasso di Sesto e la Torre dei Scarperi. Dalle postazioni si ripiega a sinistra su un costone misto erba. Fare particolare attenzione agli ometti presenti: bisogna continuare a salire il crinale su gradoni rocciosi e non perdere gli evidenti segni disposti lungo la progressione che dura per circa 50 mt di dislivello. L’ultimo pezzo è il più impegnativo con un passaggio su facili roccette che però risulta essere un po’ esposto. Si sale su una sella sicura e bella ampia che conclude l’aggiramento della costa del Rudo di Mezzo.
D’ora in poi il percorso diventa meno esposto e più semplice. La traccia prosegue dapprima in quota per poi salire su gradinate rocciose, in alcuni tratti sembra di avere lastroni di marmo sotto i piedi. Risaliamo su balze erbose a zig-zag per poi continuare su ampie cenge detritiche scavate in alcuni punti da impluvi franosi. In questo tratto il sentiero è sempre abbastanza largo e costantemente segnato. Arriviamo in un ultimo tratto in cui la roccia e la terra sotto i nostri piedi sono di un rosso vivo. Da qui, superata l’ultima roccia sporgente, vediamo il bianco canalone ghiaioso che ci porta in forcella.
È evidentissimo il sentiero che verso destra porta ad una selletta innominata e successivamente alla traccia che permette di raggiungere il Passo Grande dei Rondoi e di conseguenza la Valle della Rienza. Noi, invece, puntiamo verso sinistra diritti a guadagnare gli ultimi 40 mt di dislivello per conquistare la Forcella dei Rondoi. Abbiamo scelto di percorrere la salita sulla sinistra (destra orografica) poiché abbiamo trovato della ghiaia che garantisce un’ottima progressione assieme a cuscinetti erbosi saltuari. Siamo a quota 2672 mt dove una piccola grotta e alcuni resti militari ci accolgono in forcella. Godiamo dello splendido panorama verso Lavaredo da una parte e l’incognita Val Bulla dall’altra.
Ci prepariamo mentalmente alla discesa. Dalle varie relazioni tutte concordano sul pezzo iniziale difficile con ghiaia dura. Sorprendentemente non è così e ci divertiamo quasi in una “sciata” come nei ghiaioni più classici. In alcuni punti il canalone diventa più ostico ma non da annoverarlo tra i ghiaioni più difficoltosi fatti fin’ora. Raggiunta la base si apre un terrazzamento erboso con la presenza di mughi e massi più voluminosi. Siamo a quota 2080mt circa nella medio-alta Val Bulla. Imperiosi massi di una poderosa frana si sono schiantati in questa zona. Troviamo un timido sentiero tra l’erba e i massi (ometto) e ci portiamo sulla sinistra orografica della valle. Continuiamo su queste evidenti tracce fino ad arrivare ad una fitta macchia di mughi che ci sbarra la strada: quota 2000mt circa.
Notiamo che ci sono due possibilità per superare questa limitazione: tornare un po’ indietro, guadagnare la posizione dei mughi sulla destra orografica della valle e superare poi diversi (teoricamente 3) impluvi di cui non conosciamo effettivamente la composizione e dalla posizione in cui siamo non è possibile avere maggiori dettagli. Oppure, calarci nell’impluvio irto dal bordo del “muro” di mughi davanti a noi, procedere per il ghiaione e raggiungere la confluenza del Rio Rondoi. Scegliamo questa seconda opzione che significa mini ravanata nei mughi (cominciava a mancarmi effettivamente) e calata di 20-25 metri nell’impluvio. Questa volta faccio io da apripista e, una volta che Edoardo mi ha sapientemente ancorato ad un mugo, scendo in sicurezza verso il greto asciutto. Mi sgancio e attendo l’arrivo del prossimo. Non mi sposto a sufficienza e, all’inizio della calata di Marco mi vedo raggiungere da una serie di pietre impazzite. Non so come, ma nessuna mi colpisce! Di buona lena, quindi, scendo velocemente lasciando spazio di discesa per i compagni. Alla volta di Edoardo vedo un camoscio, o come l’ha etichettato Diego, un “ragnetto” che in men che non si dica ci raggiunge. La discesa non è giocosa come l’inizio della Val Bulla ma comunque senza difficoltà arriviamo alla confluenza degli impluvi del Rio Rondoi. Ora deviamo decisamente verso O e percorriamo il greto asciutto su grandi massi accatastati scegliendo ad occhio il miglior percorso.
Giunti quasi in fondovalle, dove il solco dell’impluvio si allarga e diventa meno ripido, è possibile risalire agevolmente la barriera ghiaiosa sulla sinistra che funge da argine. La percorriamo velocemente e all’altezza di un poderoso forte austriaco ben evidente sulla sinistra vediamo un comodo sentiero che scende nella vegetazione. In questo fortino era posto un cannone austriaco direzionato verso il Cristallo, foto su libro di Antonio Berti. Aggirata la postazione militare troviamo la vecchia mulattiera ora quasi inghiottita dalla vegetazione ma comunque ampia e ben visibile. Ultimi metri di dislivello che ci portano comodamente al parcheggio della partenza e conseguente chiusura dell’anello.
Termina così un’escursione a dir poco stimolante, impegnativa dal punto di vista mentale meno da punto di vista fisico ma che racchiude delle criticità alpinistiche di rilievo per la forte esposizione in alcuni punti. L’itinerario è sicuramente completo da ogni punto di vista:
- Storico, per la presenza di un sentiero di guerra che permette di rivivere i sudori, la pericolosità, l’astuzia e l’ardore di una pagina indelebile della nostra esistenza;
- Paesaggistico, grazie al panorama incredibile sulle Dolomiti Ampezzane come il gruppo del Cristallo, il Piz Popena e la Croda Rossa. Passando per il Cristallino di Misurina, il monte Piana e le maestose Tre Cime di Lavaredo;
- Esplorativo, il monte Rudo per la sua conformazione è in continua evoluzione ed erosione. Il sentiero muta di anno in anno e le difficoltà cominciano ad essere sempre più evidenti. La Val Bulla è la tipica espressione di come una valle possa essere stravolta da continue frane e smottamenti.
Per una visione ancora più completa, vi invito a leggere anche la splendida e dettagliata relazione tecnica del mitico compagno di avventura Diego!

“Tempo stupendo, ben soleggiato con cielo sereno al mattino e sereno o poco nuvoloso per modesti cumuli a ridosso delle cime nelle ore più calde.” Questo l’ultimo bollettino dell’Arpav per la giornata che ci attende sulle Dolomiti. Io e Diego partiamo di buon mattino in direzione di Cortina dove ci attende la nostra roccia, la guida Alpina Edoardo che ci accompagnerà anche in questa nuova avventura. Il meteo sembra tutt’altro che “stupendo”: nuvole su nuvole anche tendenti al grigio scuro… Se il buon giorno si vede dal mattino… Siamo un po’ scoraggiati: non vogliamo che possa essere un brutto presagio per la spedizione di oggi.
L’obiettivo è l’anello del Monte Rudo, cima che si erge nella Val di Landro proprio al cospetto dell’omonimo lago. Si raggiunge da Cortina proseguendo per la SS51 verso Carbonin in direzione di Dobbiaco. Questo monte è stato la roccaforte dell’esercito austriaco nella Prima Guerra mondiale. Proprio qui sono stati dislocati diversi forti dai quali venivano puntati obici nella direzione del gruppo del Cristallo o del più vicino e “sotto tiro” Monte Piana. Abbiamo preso spunto da diverse fonti, tra tutte la relazione di Fabio Cammelli dell’estate 2020 pubblicata nella rivista “Le Alpi Venete”, primavera-estate 2021.
Superiamo il lago di Landro, dal quale si può sostare per una foto-cartolina sulle Tre Cime, e ci dirigiamo poco più avanti dell’ex Forte Landro sulla destra. Un comodo spiazzo permette di posteggiare diverse auto. Qui, ad attenderci, troviamo Marco: un nuovo componente del gruppo di ravanatori selvaggi!
Partiamo su carrareccia che si inoltra nel bosco in direzione NE. Dopo pochi minuti si devia decisamente verso destra (SE) superando un breve tratto sassoso franato recentemente e si torna immersi nella vegetazione. Alla nostra destra notiamo l’ex forte di Landro pochi metri sotto i nostri piedi. Saliamo accompagnati da arbusti di pini mughi (anche recentemente tagliati) e guadagnamo quota fino a circa 2000 mt dove cominciamo a vedere i primi muretti a secco, lì da oltre cent’anni. Si sale costantemente a zig zag con decisi tornanti ravvicinati fino ad uscire su un canale ghiaioso a quota 2175 mt dove troviamo il vecchio fortino austriaco. Un tempo, costellato di ricoveri in muratura e bunker, era anche meta di una teleferica. Oggi i resti permettono di avere visuali inedite sullo splendido gruppo del Cristallo, Cristallino di Misurina e Piz Popèna. Davanti a noi, vicinissima, la sagoma appiattita del Monte Piana. Proprio da queste postazioni, il 14 luglio del 1915 venivano sganciati proiettili a ripetizione sui soldati italiani. Antonio Berti nel libro “Guerra in Ampezzo e Cadore”, scriveva così:
[…] Alle 9 precise dal Col San’Angelo si innalza un razzo: è il segnale d’attacco. I fanti cominciano ad avanzare in direzione della Piramide Carducci. Quando spuntano sul ciglio del Pianoro Sud tutte le artiglierie del Monte Rudo, di Prato Piazza, del Col di Specie, aprono contemporaneamente il tiro. […] Un battaglione di fanteria giunge di rincalzo e occupa anch’esso il trinceramento che fiancheggia la Piramide. Il soldato, su quel pianoro scoperto, vede levarsi di fronte, vicina, la mole possente e sinistra del Monte Rudo, con i cannoni celati in caverne che sparano sicuri, incontrollabili, da quelle loro latèbre.
Piccola pausa e ripartiamo in direzione N su un sentiero di sassi (vari ometti che indicano la via) e facili roccette che arrampichiamo in velocità per raggiungere l’apice di un crinale. Arriviamo alle pendici della parete del Teston di Rudo, giriamo verso destra su una cengia molto stretta dalla quale notiamo un deciso salto roccioso verso valle. Si continua a salire grazie a questo incerto sentiero, fino a raggiungere una irta via creata da rocce e sfasciumi dalla quale usciamo sulla sinistra per compiere un passaggio esposto su un balzo di roccia di qualche metro. Da qui si prosegue in costa su cengia detritica più ampia della precedente. Il baratro al termine risulta essere sempre marcato, ma si riesce a progredire in modo spedito, senza difficoltà. Particolare attenzione in alcuni tratti in cui le rocce più sporgenti obbligano ad un appoggio con le mani per maggior sicurezza. Al termine della cengia la traccia di apre su un piccolo valloncello di erba e sassi che risaliamo a zig-zag. Sulla destra notiamo una ampia galleria da cui si ha una visuale eccezionale sul lago di Misurina.
Molto probabilmente questo luogo è lo stesso citato da Antonio Berti in questo passo de “Guerra in Ampezzo e Cadore”: 24 maggio 1915. Alle 8.45 un rombo fa sussultare gli uomini, li impietra sulle forcelle, ritti, con sospese in mano le zappe e le vanghe. Pochi secondi e un altro rombo, un grido da tutti i petti ad un tempo: “la guerra!”. I due colpi sono stati sparati sul tavolato del Monte Piana da quella mole rocciosa, massiccia, torva, che incombe su Landro e domina il Monte Piana: dal Monte Rudo che gli austriaci hanno trasformato in fortezza. […] Durante tutto il 24 maggio e la mattina del 25, pezzi di medio calibro austriaci, appostati nelle gallerie del monte Rudo e sul monte Specie, continuano a battere la Forcella Lavaredo e Forcella Col di Mezzo. Numerosi proiettili, dalle 16 in poi, sorvolano sibilando e scoppiano a Misurina: la lastra di ghiaccio, che copre ancora gran parte del lago, in 48 ore si scioglie. (da notare che a fine maggio in quegli anni c’era ancora il lago di Misurina ghiacciato!!!).
Raggiungiamo così quota 2500 mt circa, usciamo su una spalla erbosa che ci regala due viste spettacolari: una sulla maestosa parete del Monte Rudo Ovest con l’evidente traccia che dovremmo percorrere, e la magnifica vista delle Tre Cime accompagnata da un imponente rudere della Grande Guerra. Come riportato da Fabio Cammelli nella sua relazione: Questa costruzione formava, insieme a numerose postazioni di artiglieria e di osservazione, la cosiddetta “Kampfanlage Schwalbenkofel”, parte integrante dello sbarramento di Landro. Tra il 1915 e il 1917 venne usato come deposito e come ricovero abitato. Una breve pausa ci serve per studiare il percorso visibile davanti a noi. Notiamo anche una coppia che ci sta anticipando sulla via ma che devia nel ghiaione verso S-SE: hanno deciso di utilizzare l’ultima “via di fuga” per raggiungere la Valle della Rienza e non continuare sul sentiero di guerra.
Noi invece, sicuri, prendiamo il sentiero che dapprima scende fino ad arrivare ad un crinale ghiaioso che si spinge in direzione delle Tre Cime da cui abbiamo una splendida vista per una foto ricordo. Qui è il punto dove la coppia di escursionisti ha scelto di optare per l’alternativa verso la Valle della Rienza. Raggiungiamo la base del pilastro roccioso Ovest e da qui comincia la nostra avventura sul versante meridionale del Monte Rudo. Come in precedenza si sviluppa dapprima su cengetta franosa, per poi continuare su sali scendi e ripidi pendii sabbiosi intervallati da recenti impluvi creati da smottamenti e frane. Arriviamo a quota 2510 mt circa dove finalmente appoggiamo i piedi su una sella erbosa ampia e sorvegliata da una grande caverna, risalente anch’essa alla Grande Guerra. Da questo punto inizia la parte più impegnativa di tutto il percorso.
Il sentiero scende per poi evidentemente risalire in modo deciso su pendii franosi verso uno spigolo da cui svetta inconfondibile un ometto. Al termine del primo tratto di discesa troviamo un pezzo di traccia spazzato via da una frana. Anche Fabio Cammelli la cita nella relazione del 2020 ma, secondo me, solo marginalmente. Si deve risalire brevemente facendo affidamento su delle zolle erbose per poi proseguire su una risicatissima traccia rocciosa. Il tratto franato è sì breve ma molto esposto, bisogna avere la massima attenzione ad ogni minimo passo e non tergiversare troppo: chissà quanto ancora sarà presente questo minimo passaggio in cui ci sta a malapena uno scarpone davanti all’altro. Una volta messo il piede sul ghiaione di cengia sembra di stare su un’autostrada a confronto!



Data

31-07-2022

Distanza

15.29 KM

Tipo escursione

Alpinismo

Dislivello

1481 mt

  • Montagna

    Monte Rudo

  • Indirizzo

    Val di Landro, Trentino Alto Adige, Italy

  • Altitudine

    2675.00 m

  • Rifugi

  • Informazioni

Raggiungiamo la cima dello spigolo roccioso con non poca fatica vista la pendenza e la presenza di ghiaia fine in alcuni punti. La vista lascia senza fiato: davanti a noi si stagliano le Tre Cime e volgendo lo sguardo verso il basso la mitica scaletta! Dalla relazione di Fabio Cammelli sembra che questo sia il punto chiave dell’avventura di oggi. Prima differenza che noto è la vecchia scala di legno che è stata letteralmente buttata sopra un costone roccioso. La via per raggiungere il balzo di roccia con la scaletta è una strettissima lingua di terra, a bordo parete, con strapiombo molto esposto. Effettivamente con la calma, freddezza e passo fermo non si dovrebbe aver difficoltà a passarlo, ma noi optiamo per la sicurezza. Edoardo va in avanscoperta per capire se ci sono punti in cui poterci assicurare. L’unico appiglio è un fittone di ferro ben piantato a terra nella parte più ampia dello spigolo roccioso dove siamo in attesa. Diego parte per primo. Percorre sicuro il tratto esposto, supera le mini gradinate e arriva al limite del salto roccioso. Qui, ad un fittone di ferro è agganciato un filo (elettrico?!) a sua volta legato alla scala metallica. Diego testa la solidità del fittone e… gli resta in mano! Letteralmente il pezzo di ferro esce senza opporre quasi resistenza come una matita esce dal temperino. Tra timide risate e preoccupazione crescente, Diego lascia il fittone a terra per evitare che altri si possano affidare a questo strumento ormai obsoleto. La perplessità è la tenuta della scala ora che non c’è il filo o corda fine a tenerla fissa (come se un filo potesse tenere fissa una scala a dieci pioli). La scaletta traballa, ma Diego con il peso verso monte riesce a scenderla completamente. Tocca terra, sgancia il moschettone e così io e Marco ripercorriamo gli stessi passi. Diego ci tiene la scala salda e noi scendiamo sicuri verso la limitata base ghiaiosa. Attendiamo ora Edoardo che una volta recuperata la corda ci raggiunge in un baleno. Notiamo che la scaletta è ancorata con un chiodo ben fisso nella roccia, e con un paio di corde (molto fine a parer mio). Il peggio sembra passato… e invece. Il tratto che ci aspetta è esposto tanto quanto quello appena passato. Decidiamo di procedere in sicurezza, ma non ci sono appigli per la sicura, apparentemente. Edoardo prova a inserire un chiodo, per diversi tentativi, senza successo: la roccia è davvero marcia e non garantisce un minimo ancoraggio. Decide quindi di usare l’unico chiodo fisso già presente: quello della scaletta. Diego fa l’avanguardia e termina il breve tratto esposto in pochissimo tempo. Marco ed io seguiamo a ruota. Edoardo ci raggiunge con la solita leggiadria.
Si procede su salita con terreno detritico, ci giriamo continuamente per osservare il pezzo appena percorso: è davvero caratteristico con pinnacoli a picco e la stretta lingua sassosa che ci ha permesso di rimanere in costa. Usciamo su un nuovo terrazzo erboso con una chiara postazione militare con un muretto a secco a protezione verso lo strapiombo. Poco più avanti una seconda postazione di guerra sul ciglio del dirupo. Il panorama è impagabile: un anfiteatro sulle Tre Cime di Lavaredo, il Monte Paterno, il sasso di Sesto e la Torre dei Scarperi. Dalle postazioni si ripiega a sinistra su un costone misto erba. Fare particolare attenzione agli ometti presenti: bisogna continuare a salire il crinale su gradoni rocciosi e non perdere gli evidenti segni disposti lungo la progressione che dura per circa 50 mt di dislivello. L’ultimo pezzo è il più impegnativo con un passaggio su facili roccette che però risulta essere un po’ esposto. Si sale su una sella sicura e bella ampia che conclude l’aggiramento della costa del Rudo di Mezzo.
D’ora in poi il percorso diventa meno esposto e più semplice. La traccia prosegue dapprima in quota per poi salire su gradinate rocciose, in alcuni tratti sembra di avere lastroni di marmo sotto i piedi. Risaliamo su balze erbose a zig-zag per poi continuare su ampie cenge detritiche scavate in alcuni punti da impluvi franosi. In questo tratto il sentiero è sempre abbastanza largo e costantemente segnato. Arriviamo in un ultimo tratto in cui la roccia e la terra sotto i nostri piedi sono di un rosso vivo. Da qui, superata l’ultima roccia sporgente, vediamo il bianco canalone ghiaioso che ci porta in forcella.
È evidentissimo il sentiero che verso destra porta ad una selletta innominata e successivamente alla traccia che permette di raggiungere il Passo Grande dei Rondoi e di conseguenza la Valle della Rienza. Noi, invece, puntiamo verso sinistra diritti a guadagnare gli ultimi 40 mt di dislivello per conquistare la Forcella dei Rondoi. Abbiamo scelto di percorrere la salita sulla sinistra (destra orografica) poiché abbiamo trovato della ghiaia che garantisce un’ottima progressione assieme a cuscinetti erbosi saltuari. Siamo a quota 2672 mt dove una piccola grotta e alcuni resti militari ci accolgono in forcella. Godiamo dello splendido panorama verso Lavaredo da una parte e l’incognita Val Bulla dall’altra.
Ci prepariamo mentalmente alla discesa. Dalle varie relazioni tutte concordano sul pezzo iniziale difficile con ghiaia dura. Sorprendentemente non è così e ci divertiamo quasi in una “sciata” come nei ghiaioni più classici. In alcuni punti il canalone diventa più ostico ma non da annoverarlo tra i ghiaioni più difficoltosi fatti fin’ora. Raggiunta la base si apre un terrazzamento erboso con la presenza di mughi e massi più voluminosi. Siamo a quota 2080mt circa nella medio-alta Val Bulla. Imperiosi massi di una poderosa frana si sono schiantati in questa zona. Troviamo un timido sentiero tra l’erba e i massi (ometto) e ci portiamo sulla sinistra orografica della valle. Continuiamo su queste evidenti tracce fino ad arrivare ad una fitta macchia di mughi che ci sbarra la strada: quota 2000mt circa.
Notiamo che ci sono due possibilità per superare questa limitazione: tornare un po’ indietro, guadagnare la posizione dei mughi sulla destra orografica della valle e superare poi diversi (teoricamente 3) impluvi di cui non conosciamo effettivamente la composizione e dalla posizione in cui siamo non è possibile avere maggiori dettagli. Oppure, calarci nell’impluvio irto dal bordo del “muro” di mughi davanti a noi, procedere per il ghiaione e raggiungere la confluenza del Rio Rondoi. Scegliamo questa seconda opzione che significa mini ravanata nei mughi (cominciava a mancarmi effettivamente) e calata di 20-25 metri nell’impluvio. Questa volta faccio io da apripista e, una volta che Edoardo mi ha sapientemente ancorato ad un mugo, scendo in sicurezza verso il greto asciutto. Mi sgancio e attendo l’arrivo del prossimo. Non mi sposto a sufficienza e, all’inizio della calata di Marco mi vedo raggiungere da una serie di pietre impazzite. Non so come, ma nessuna mi colpisce! Di buona lena, quindi, scendo velocemente lasciando spazio di discesa per i compagni. Alla volta di Edoardo vedo un camoscio, o come l’ha etichettato Diego, un “ragnetto” che in men che non si dica ci raggiunge. La discesa non è giocosa come l’inizio della Val Bulla ma comunque senza difficoltà arriviamo alla confluenza degli impluvi del Rio Rondoi. Ora deviamo decisamente verso O e percorriamo il greto asciutto su grandi massi accatastati scegliendo ad occhio il miglior percorso.
Giunti quasi in fondovalle, dove il solco dell’impluvio si allarga e diventa meno ripido, è possibile risalire agevolmente la barriera ghiaiosa sulla sinistra che funge da argine. La percorriamo velocemente e all’altezza di un poderoso forte austriaco ben evidente sulla sinistra vediamo un comodo sentiero che scende nella vegetazione. In questo fortino era posto un cannone austriaco direzionato verso il Cristallo, foto su libro di Antonio Berti. Aggirata la postazione militare troviamo la vecchia mulattiera ora quasi inghiottita dalla vegetazione ma comunque ampia e ben visibile. Ultimi metri di dislivello che ci portano comodamente al parcheggio della partenza e conseguente chiusura dell’anello.
Termina così un’escursione a dir poco stimolante, impegnativa dal punto di vista mentale meno da punto di vista fisico ma che racchiude delle criticità alpinistiche di rilievo per la forte esposizione in alcuni punti. L’itinerario è sicuramente completo da ogni punto di vista:
- Storico, per la presenza di un sentiero di guerra che permette di rivivere i sudori, la pericolosità, l’astuzia e l’ardore di una pagina indelebile della nostra esistenza;
- Paesaggistico, grazie al panorama incredibile sulle Dolomiti Ampezzane come il gruppo del Cristallo, il Piz Popena e la Croda Rossa. Passando per il Cristallino di Misurina, il monte Piana e le maestose Tre Cime di Lavaredo;
- Esplorativo, il monte Rudo per la sua conformazione è in continua evoluzione ed erosione. Il sentiero muta di anno in anno e le difficoltà cominciano ad essere sempre più evidenti. La Val Bulla è la tipica espressione di come una valle possa essere stravolta da continue frane e smottamenti.
Per una visione ancora più completa, vi invito a leggere anche la splendida e dettagliata relazione tecnica del mitico compagno di avventura Diego!




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Difficoltà

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